Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Moraglia e i sacerdoti contro i «corvi»
Quattordici parti civili, udienza a luglio. La difesa: diffamazione, norma incostituzionale
VENEZIA Il processo si è aperto con una «falsa partenza». Non c’era la certezza che l’udienza fosse stata notificata a uno dei due imputati e il gup Marta Paccagnella, per evitare problemi, ha deciso di rinviare. E lo ha fatto al 21 luglio, in modo da prevenire una questione su cui vuole puntare la difesa di Enrico Di Giorgi e Gianluca Buoninconti, i due milanesi accusati di essere i «corvi» che per mesi – tra gennaio e agosto del 2019 – hanno tappezzato i muri di Venezia con cinque volantini con accuse sulla gestione economica e sulla vita sessuale di alcuni sacerdoti (con nomi storpiati ma riconoscibilissimi) e contro il patriarca Francesco Moraglia, reo di non intervenire. I legali dei due imputati erano infatti pronti a sollevare una questione di costituzionalità sul reato di diffamazione, di cui peraltro la Consulta si sta già occupando, con udienza fissata il 22 giugno, legata ad alcuni casi riguardanti dei giornalisti. Per questo il gip ha deciso di attendere che si celebri quell’udienza per capire che cosa ne pensi la Corte Costituzionale.
Ieri i due imputati non c’erano, ma c’erano i loro legali. E poi gli avvocati di 14 parti offese, pronte a costituirsi parti civili. In primis proprio Moraglia e il Patriarcato di Venezia, con l’avvocato genovese Pierpaolo Bottino, poi vari sacerdoti che avevano presentato le denunce – da don Morris Pasian a monsignor Gianmatteo Caputo, da don Piotr Mikulski a don Roberto Donadoni, da don Angelo Preda a don Luca Biancafior, da don Alessandro Panzanato a don Marco Molin e infine al vicario monsignor Angelo Pagan – e anche don Natalino Bonazza, che inizialmente non aveva querelato ma ora ci ha ripensato. Infine i due laici Gabriele Bisetto Trevisin, titolare di un’azienda florovivaistica, e Alessandro Tamborini, il «grande accusatore» di don Massimiliano D’Antiga, il sacerdote ridotto allo stato laicale un anno fa da Papa Francesco.
Il pm Massimo Michelozzi non ha ritenuto di chiedere il giudizio anche per l’ex parroco di San Zulian, anche se i carabinieri veneziani lo avevano definito il «fulcro della vicenda». Non è stato però sufficiente per dire che fosse l’ispiratore dei testi, sebbene fossero noti i contatti e l’amicizia stretta con Di Giorgi. Di tutt’altra idea invece proprio Tamborini, che anche ieri l’ha ribadito: «Il corvo è D’Antiga, Di Giorgi è stato un mero esecutore perché plagiato». Il fedele ha presentato numerose denunce anche contro i famigliari dell’ex prete. Per esempio il 26 maggio ci sarà l’udienza in cui sono imputati per aggressione e minacce la sorella Emanuela D’Antiga e il marito Fabrizio Alvisi. «Lo chiamavano il “conte” per giustificare le ricchezze, in realtà frutto di ruberie», chiosa Tamborini.
L’accusa Il fedele diffamato: Di Giorgi è stato plagiato da don D’Antiga