Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
La scienza che danza nella tempesta
Esce oggi il nuovo libro dell’immunologa padovana Antonella Viola. Un viaggio nella pandemia con gli scenari per uscirne
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Siamo di fronte a una crisi epocale, ma non possiamo farci dominare dalla paura. Abbiamo l’obbligo di mantenere un atteggiamento razionale e lucido
Pubbl ichiamo un brano del nuovo libro dell’immunologa Antonella Viola «Danzare nella tempesta. Viaggio nella fragile perfezione del sistema immunitario» (Feltrinelli). L’autrice lo presenta online oggi alle 18.30 sui canali social di Feltrinelli Editore e laFeltrinelli in dialogo con Paolo Giordano.
La pandemia ha generato grandi cambiamenti, ma ce n’è uno forse meno atteso di altri ed è il nuovo ruolo della scienza nella sfera pubblica. Questa relazione inedita fra scienziati e cittadini va ben oltre la conquista di una consapevolezza diffusa dell’importanza delle scoperte scientifiche e dell’innovazione tecnologica per il benessere della nostra società. Davanti a noi abbiamo qualcosa di molto più radicale: l’orizzonte di una possibile rivoluzione, simile per capacità di trasformare la nostra concezione del mondo e il nostro stile di vita alla Rivoluzione scientifica fra il Sedicesimo e il Diciassettesimo secolo.
Che impatto avrà la pandemia, con tutti i suoi risvolti sociali, economici, culturali, sulla ricerca scientifica? Probabilmente ci saranno maggiori investimenti nell’ambito delle malattie infettive, degli studi associati all’analisi delle diverse risposte immunitarie, cosi come sarà promosso lo sviluppo di farmaci e vaccini. Si tratta di aspetti molto positivi e auspicabili, ma non sono gli unici. Ci sono stati segnali di allarme durante gli ultimi mesi che non possiamo ignorare. Uno di questi è l’invasione di campo della politica nella ricerca. Troppe volte abbiamo assistito alla disinvolta interpretazione dei dati per giustificare o attaccare scelte di natura politica; troppe volte il confine tra scienza e politica è stato superato, e le scoperte stesse – prime tra tutte i vaccini – sono diventate terreno di scontro geopolitico e di contrattazione economica. Persino i giornali di settore, quelli che non dovrebbero mai essere interessati ad altro che alla qualità della ricerca e alla riproducibilità dei dati, si sono prestati a questo gioco. Non è la prima volta nella storia che gli orientamenti della ricerca e i suoi stessi risultati sono condizionati dal contesto politico, ma in una democrazia non era mai successo. Non avevamo neanche mai avuto a disposizione una rete di amplificazione delle informazioni – di tutte, anche quelle non verificate – potente come i media di oggi. L’emergenza e la crisi spaventosa che abbiamo vissuto hanno consentito e favorito un’accelerazione della ricerca, eppure abbiamo assistito anche a gravi forzature.
Siamo di fronte a una crisi epocale, ma non possiamo farci dominare dalla paura. Abbiamo l’obbligo e la responsabilità di mantenere un atteggiamento razionale e lucido, perché solo in questo modo saremo in grado di riconoscere ciò che per noi è bene e ciò che non lo è. Come ci insegna il nostro sistema immunitario, le misure che devono essere messe in atto per contrastare un virus devono essere coordinate e controllate, altrimenti si ripercuotono contro noi stessi.
Ma quale sarà l’effetto della presenza più diffusa della scienza nel dibattito pubblico, come l’abbiamo vissuta nell’ultimo anno, sulla nostra società? Credo che, nel bene e nel male, nonostante alcuni toni forse troppo forti e qualche eccesso di protagonismo, tutti ci siamo accorti di una cosa molto importante: la scienza è confronto, dialogo, evoluzione sulla base delle evidenze, critica costruttiva. In una parola, la scienza è democrazia.
Naturalmente, quando parliamo di scienza democratica non intendiamo sostenere che il teorema di Pitagora si approvi ad alzata di mano o che l’opinione di chiunque possa diventare legge. Ma questo non accade neanche in democrazia. Noi eleggiamo i nostri rappresentanti che, sulla base della loro preparazione, prenderanno le decisioni al nostro posto. Nessuno di noi sarebbe in grado di votare per alzata di mano su temi giuridici, economici, sociali, sanitari, di ricerca e sviluppo: dobbiamo affidarci a chi nel tempo ha acquisito le competenze necessarie e ci governa. Allo stesso modo, nella ricerca scientifica sono appunto le persone competenti, gli scienziati, che decidono democraticamente se un’ipotesi è valida, in seguito a lunghi procedimenti di verifica e confutazioni.
Ma ciò che rende profondamente affini la mentalità democratica e quella scientifica è l’approccio fondato sullo scetticismo. Lo storico della scienza Joseph Needham ha scritto: «Esaminare attentamente i dati disponibili, decidere da soli l’obiettivo che si intende perseguire, valutare i fatti da diversi punti di vista, sono caratteristiche tanto dello scienziato che si applica all’indagine della natura, quanto del cittadino democratico che partecipa alla gestione dello Stato (...). La prassi democratica potrebbe essere definita, in un certo senso, quella di cui la scienza è teoria». Per altro verso, secondo Needham, la scienza, fondata sulla razionalità e sullo scetticismo, è incompatibile con i richiami irrazionali dell’autoritarismo. Può dunque la scienza dare alla politica una lezione di democrazia, soprattutto in uno stato di emergenza? Probabilmente sì, e forse questa lezione potrebbe esserci utile nella lenta e difficile transizione dall’emergenza alla nuova normalità, che ancora non conosciamo.