Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
IL NODO MATERIE PRIME
La buona notizia è che la produzione industriale è ripartita con slancio. Anche nelle regioni del Nordest le aziende che pubblicano i dati stanno presentando trimestrali in netto rialzo e dichiarano portafogli ordini rassicuranti. La cattiva notizia è che si sta manifestando una preoccupante carenza di materie prime e di semilavorati. Carenza che potrebbe compromettere o rallentare la ripresa. C’è chi, sotto sotto, vede con favore questo contributo al rialzo dei tassi d’inflazione che potrebbero avvicinarsi al limite del 2% che è il target della Bce, salvo paventare un rallentamento degli acquisti del debito pubblico che ci porrebbe ben altri problemi. Negli Usa tale limite è già stato superato, inducendo Janet Yellen (Segretario al Tesoro Usa) a dichiarazioni sui tassi d’interesse che hanno già provocato turbolenze sui mercati finanziari.
Un aspetto problematico della ripresa è dunque costituito dalle strozzature che si stanno formando sui mercati delle materie prime e dei semilavorati e sul mercato del lavoro. Il fenomeno sta investendo diverse filiere.
Sono quelle che utilizzano la plastica, l’acciaio, l’alluminio, i semiconduttori, la carta (si pensi agli imballaggi) e quindi i settori della componentistica auto, delle costruzioni, degli elettrodomestici, dell’automazione e così via. Sono in tensione anche i prezzi della logistica soprattutto per chi utilizza i container via mare poiché molte delle fonti di approvvigionamento sono concentrate in Asia.
Non c’è solo il rialzo dei prezzi. Anche dove la domanda presenta una certa rigidità rispetto ai prezzi (in parole più semplici, paga a piè di lista senza discutere) manca proprio l’offerta. In parte il fenomeno è dovuto a un rimbalzo più deciso di quello atteso e in parte a veri e propri processi di speculazione attraverso un’artificiosa restrizione dell’offerta. Quando i prezzi sono in salita, si rimandano le vendite per beneficiare degli incrementi attesi. Un imprenditore mi ha confidato: «Sono costretto a firmare contratti aperti con prezzo da definire e consegna quando possibile. In questa situazione è problematico anche per me assumere impegni e programmare la produzione».
Per non disperdere la vocazione industriale dell’Italia e del Nordest è necessario ripensare la collocazione delle produzioni di base. In questa direzione, si impongono politiche di reindustrializzazione dell’Europa avendo come riferimento non certo chiusure autarchiche ma una equilibrata distribuzione lungo le filiere globali, che si sono un po’ accorciate ma restano più vitali che mai. Si tratta di sottrarre le nostre imprese alla dipendenza di pochi
- se non unici - siti produttivi, vicini o lontani che siano. Durante le fasi più critiche della pandemia, se la sono cavata meglio quelle imprese industriali che per dimensione, politiche di approvvigionamento, strategie produttive potevano contare su una dislocazione della
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produzione equilibrata a livello globale e su una pluralità di fonti di approvvigionamento e di sbocco.
Questa lezione della pandemia dovrebbe essere metabolizzata dalle singole imprese e dalle loro associazioni organizzando, per esempio, piattaforme di approvvigionamento, mentre gli Stati e gli organismi sovranazionali potrebbero farne un tratto caratteristico delle riemergenti politiche industriali. Dalle Regioni può arrivare un contributo più deciso per allentare le carenze sul mercato del lavoro dove, nonostante i tassi di disoccupazione e di inattività, scarseggiano certe competenze manifatturiere. Anche le difficoltà di approvvigionamento dei vaccini e di altri farmaci essenziali potrebbero trovare una risposta in politiche di questo tipo. Si tenga conto che le strozzature maggiori nell’industria farmaceutica derivano dal fatto che certi componenti di base sono prodotti quasi esclusivamente in India e in Cina. Un’esasperata specializzazione territoriale genera sicuramente rilevanti economie di costo ma introduce rigidità che potrebbero mangiarsi i risparmi e rendere poco gestibile il sistema produttivo.