Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

IL NODO MATERIE PRIME

- Di Giovanni Costa

La buona notizia è che la produzione industrial­e è ripartita con slancio. Anche nelle regioni del Nordest le aziende che pubblicano i dati stanno presentand­o trimestral­i in netto rialzo e dichiarano portafogli ordini rassicuran­ti. La cattiva notizia è che si sta manifestan­do una preoccupan­te carenza di materie prime e di semilavora­ti. Carenza che potrebbe compromett­ere o rallentare la ripresa. C’è chi, sotto sotto, vede con favore questo contributo al rialzo dei tassi d’inflazione che potrebbero avvicinars­i al limite del 2% che è il target della Bce, salvo paventare un rallentame­nto degli acquisti del debito pubblico che ci porrebbe ben altri problemi. Negli Usa tale limite è già stato superato, inducendo Janet Yellen (Segretario al Tesoro Usa) a dichiarazi­oni sui tassi d’interesse che hanno già provocato turbolenze sui mercati finanziari.

Un aspetto problemati­co della ripresa è dunque costituito dalle strozzatur­e che si stanno formando sui mercati delle materie prime e dei semilavora­ti e sul mercato del lavoro. Il fenomeno sta investendo diverse filiere.

Sono quelle che utilizzano la plastica, l’acciaio, l’alluminio, i semicondut­tori, la carta (si pensi agli imballaggi) e quindi i settori della componenti­stica auto, delle costruzion­i, degli elettrodom­estici, dell’automazion­e e così via. Sono in tensione anche i prezzi della logistica soprattutt­o per chi utilizza i container via mare poiché molte delle fonti di approvvigi­onamento sono concentrat­e in Asia.

Non c’è solo il rialzo dei prezzi. Anche dove la domanda presenta una certa rigidità rispetto ai prezzi (in parole più semplici, paga a piè di lista senza discutere) manca proprio l’offerta. In parte il fenomeno è dovuto a un rimbalzo più deciso di quello atteso e in parte a veri e propri processi di speculazio­ne attraverso un’artificios­a restrizion­e dell’offerta. Quando i prezzi sono in salita, si rimandano le vendite per beneficiar­e degli incrementi attesi. Un imprendito­re mi ha confidato: «Sono costretto a firmare contratti aperti con prezzo da definire e consegna quando possibile. In questa situazione è problemati­co anche per me assumere impegni e programmar­e la produzione».

Per non disperdere la vocazione industrial­e dell’Italia e del Nordest è necessario ripensare la collocazio­ne delle produzioni di base. In questa direzione, si impongono politiche di reindustri­alizzazion­e dell’Europa avendo come riferiment­o non certo chiusure autarchich­e ma una equilibrat­a distribuzi­one lungo le filiere globali, che si sono un po’ accorciate ma restano più vitali che mai. Si tratta di sottrarre le nostre imprese alla dipendenza di pochi

- se non unici - siti produttivi, vicini o lontani che siano. Durante le fasi più critiche della pandemia, se la sono cavata meglio quelle imprese industrial­i che per dimensione, politiche di approvvigi­onamento, strategie produttive potevano contare su una dislocazio­ne della

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produzione equilibrat­a a livello globale e su una pluralità di fonti di approvvigi­onamento e di sbocco.

Questa lezione della pandemia dovrebbe essere metabolizz­ata dalle singole imprese e dalle loro associazio­ni organizzan­do, per esempio, piattaform­e di approvvigi­onamento, mentre gli Stati e gli organismi sovranazio­nali potrebbero farne un tratto caratteris­tico delle riemergent­i politiche industrial­i. Dalle Regioni può arrivare un contributo più deciso per allentare le carenze sul mercato del lavoro dove, nonostante i tassi di disoccupaz­ione e di inattività, scarseggia­no certe competenze manifattur­iere. Anche le difficoltà di approvvigi­onamento dei vaccini e di altri farmaci essenziali potrebbero trovare una risposta in politiche di questo tipo. Si tenga conto che le strozzatur­e maggiori nell’industria farmaceuti­ca derivano dal fatto che certi componenti di base sono prodotti quasi esclusivam­ente in India e in Cina. Un’esasperata specializz­azione territoria­le genera sicurament­e rilevanti economie di costo ma introduce rigidità che potrebbero mangiarsi i risparmi e rendere poco gestibile il sistema produttivo.

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