Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Sei figli, il linfoma, il lavoro allo Iov «La vita è un dono»
La super mamma lavora allo Iov, un anno fa la diagnosi di linfoma: «Esperienza che insegna»
PADOVA «Non è sempre facile per una donna conciliare lavoro e famiglia, tanto che purtroppo molte volte si è costretti a scegliere l’una o l’altra, ma io ho sempre trovato grande disponibilità, comprensione e appoggio sia durante le gravidanze sia dopo». Padova, Italia, anno 2021: la 37enne Chiara, infermiera allo Iov - Istituto Oncologico Veneto e madre di sei splendidi bambini dai 3 agli 11 anni, racconta la sua storia con naturalezza, eppure rappresenta una sorta di unicum. La sua testimonianza vuole quasi squarciare un velo che tristemente costringe molte donne a prendere una decisione, dovendo spesso sacrificare la carriera: «Molti mi chiedono come faccia, avendo sei figli - spiega Chiara, peraltro pendolare in quanto residente nel Vicentino - ma non ho una formula magica: semplicemente accolgo giorno per giorno quello che la vita mi dona. Di sicuro essere mamma mi aiuta ad essere infermiera, ed essere infermiera mi aiuta a essere mamma». Il tutto senza trascurare un particolare non di poco conto: «Un anno fa mi è stato diagnosticato un linfoma, malattia che ho affrontato con terapie eseguite proprio allo Iov. Quene sta esperienza mi ha aiutato a vedere i pazienti in modo diverso: oggi capisco ancora di più quanto sia importante non solo curare bensì prendersi cura delle persone, stando loro accanto anche attraverso un sorriso, una parola di conforto o semplicemente tenendo la mano in un momento di difficoltà». Rimanendo all’ombra del Santo basta spostarsi di poche decine di metri per imbattersi in una storia altrettanto straordinaria: è stato eseguito nel policlinico dell’Azienda Ospedaliera un eccezionale trapianto ausiliario di fegato in due tempi da donatore vivente, effettuato a fimarzo dall’équipe guidata dal professor Umberto Cillo, direttore del reparto di Chirurgia epatobiliare. Un delicato doppio intervento durato quasi venti ore, che ha impegnato almeno dieci chirurghi e sei anestesisti in due diverse sale operatorie e che è stato reso ancor più unico da un particolare: a donare il 25% del proprio fegato (295 grammi, per l’esattezza) a un 46enne residente nel Nord-Ovest dell’Italia, appartenente alle forze dell’ordine e affetto da metastasi inoperabili causa tumore al colon retto, è stata infatti la sorella 49enne. Il frammento di fegato donato è stato poi trapiantato a fianco dell’organo ammalato e ne è stata stimolata la rigenerazione, tanto che nel giro di 15 giorni la parte sana ha raggiunto il peso di 654 grammi, sufficiente a garantire la sopravvivenza al ricevente. A quel punto si è proceduto alla rimozione del fegato ammalato in videolaparoscopia, con dimissione del paziente dopo soli quattro giorni. «Grazie a questa tecnica - spiega il prof. Cillo, che già nel 2018 aveva effettuato per la prima volta in Italia un simile intervento - il paziente è guarito».