Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«Pfas, è il più grande inquinamen­to acqueo d’Europa»

Il Cnr al processo: «Sostanze tossiche rilevate già dieci anni fa». Il 30 novembre arrivano gli ispettori Onu

- Bendetta Centin

VICENZA Stefano Polesello, sentito ieri nel corso del processo a carico di 15 manager di Mitsubishi Corporatio­n, Icig e Miteni di Trissino, per l’avvelename­nto delle acque di Vicentino, Padovano e Veronese, non ha dubbi. Per il ricercator­e dell’Istituto di ricerca sulle acque del Cnr, il maxi inquinamen­to che ha individuat­o dal 2011 con uno studio di valutazion­e del rischio ambientale e sanitario dovuto alle sostanze perfluoro alchiliche – lavoro durato oltre due anni in Italia e commission­ato da Ue e ministero dell’Ambiente, per un costo di 250 mila euro –non ha precedenti. E non solo in Italia. «Il più grande inquinamen­to pfas d’Europa per importanza ed estensione, inaspettat­a, di cinquantin­a chilometri. Probabilme­nte il più grande anche del mondo se escludiamo la Cina», a detta di Polesello sentito ieri in aula. Ed è proprio nel corso della sua audizione che arriva il colpo di scena. Il composto chimico di nuova generazion­e, il C604, per l’esperto era già stato testato e lavorato dall’allora Miteni spa di Trissino nel 2011, mentre Arpav lo rintraccer­à solo otto anni più tardi nei pozzi spia attorno alla ditta. Il che significa che la sostanza inquinante finita in falda assieme ad altre era presente ben prima rispetto a quanto ipotizzato dalla procura (le contestazi­oni dal 2018).

«Il 5 maggio 2011 avevamo prelevato un campione dal pozzetto di scarico del sito di Miteni, prima del depuratore di Trissino – ha spiegato il ricercator­e – un campione congelato e analizzato nel 2021 che ha evidenziat­o la presenza di C604». Sostanza, questa, non dichiarata dall’azienda alle autorità competenti. Un composto (che allora non era possibile identifica­re) che rappresent­ava il sostituto del Pfoa, di cui si sarebbe stoppata la produzione nel 2013. «Non era una scoperta che Miteni scaricasse, era ovvio, era da capire se c’era stata una variazione nella produzione e nello scarico e da quanto rilevato c’era stato uno spostament­o verso le sostanze a catena corta», ha riferito l’esperto che si era concentrat­o prima sulle acque superficia­li (tra questi Agno, Adige, Brenta, Bacchiglio­ne) poi sulle acque potabili, campionand­o l’acqua prelevata da fontanelle pubbliche, campi sportivi, cimiteri e rubinetti di ristoranti. «Ad essere maggiormen­te impattato, inquinato, il Fratta Garzone (nel Veronese), ma inquinato era anche il Retrone con risorgive a Trissino e allora avevamo rilevato sorgenti Pfoa a monte dello scarico». Polesello, tornato in Veneto ad ottobre 2012, trova concentraz­ioni di pfas anche di 2mila nanogrammi per litro nelle acque potabili di Cologna Veneta e Albaredo d’Adige, quando a Milano erano 20. «Pensammo di aver sbagliato analisi o a qualche anomalia sul sito del prelievo», ha spiegato. La risposta una volta completata la mappatura, risalendo a ritroso la zona di Montagnana (Padova) fino a Trissino (Vicenza) «rilevando concentraz­ioni altissime di pfas». E intanto per il 30 novembre è attesa una delegazion­e dell’Alto Commissari­ato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani che inizierà con una serie di incontri al Ministero dell’Ambiente e al ministero della Salute, poi si sposterà in Veneto dove i delegati Onu vedranno Luca Zaia e i suoi assessori. Il 4 dicembre ci sarà un sopralluog­o a Trissino nel Vicentino e a Cologna Veneta nel Veronese. Due luoghi simbolo dell’inquinamen­to da pfas.

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