Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
VADO, GUARDO E SCRIVO
Vado, guardo, scrivo. L’abc del giornalista al fronte: della cronaca, qualunque sia, ancor più quando resoconto di guerra come oggi. Sembra facile, ma dietro tre paroline vive il mondo complesso dell’informazione. Vado: ma dove e, soprattutto, da chi mi fermo? Guardo: le cose a portata d’occhio o cercando di vedere anche quel che vogliono nascondermi? Scrivo: pago della verità in tasca o con lo spirito dell’esploratore? Mentre futurologi sbrigativi pontificano sulla fine del giornalismo d’autore, sostenendo che grazie (?) alla rivoluzione dei social uno vale uno, l’Ucraina in fiamme dimostra il contrario. La vera arma letale per sconfiggere la dittatura non sono le news fai da te ma quelle doc. Con certificato di garanzia incorporato e attestazione di professionalità, il contrario della improvvisazione. Sul giornale (e in tv), proprio come nelle ricette mediche, conta di chi è la firma. Non per caso, i leoni della tastiera la nascondono per non pagare dazio. Lo show televisivo del braccio destro di Putin ha innescato una reazione a catena di parole. Tutte a posteriori, perché quelle in diretta sono state una sorta di monologo. Tu chiamala, se vuoi, intervista. Ma così si svaluta la dignità di un nobile genere giornalistico, privandolo della forza di farsi contraltare del potere. Nessuno chiede al giornalista eroismo, tutti hanno diritto di pretendere che non rinunci alla schiena verticale. All’inizio del mio percorso professionale devo a un politico che non nomino una lezione memorabile.
Davanti alle spine trovate nei miei articoli, invece di protestare o blandire, reagì con preziose istruzioni: «Il giornalista furbetto, sulle prime sarà coperto di complimenti e favori. Dopo, i politici lo tratteranno da tappetino». Un evviva all’indipendenza professionale. Ancora più irrinunciabile quando, con un’autorità, esiste un lungo rapporto di conoscenza, perché l’unico vero padrone di chi scrive deve essere l’acquirente del giornale. Ho sempre usato un metodo spicciolo per scoprire se avessi peccato per eccesso di compiacenza: quando l’onorevole si spende in calorosi ringraziamenti, è probabile che sia riuscito a «buggerarti». Oggi, ripensando agli anni in cui ho raccontato l’avventura politica di Romano Prodi, mi dichiaro contento di non avere mai ricevuto un grazie: a ciascuno il suo mestiere. Penso che ciò abbia consolidato un bilancio di stima reciproca. La guerra di Putin, accentuando il bisogno di buona informazione, ha rilanciato la figura mitica del giornalista sul campo di battaglia. Assieme al solito dibattito attorno al tema: gli inviati odierni sono all’altezza dei predecessori? Un esercizio di inutilità. I più bravi sono sempre quelli bravi, ciascuno nel tempo vissuto. Comprensibile il fascino da film, ma è ingannevole l’idea che quelli al fronte siano per definizione una categoria eletta rispetto ai cronisti impegnati sul terreno locale. Lavorare dove scoppiano le bombe è pericoloso ma sono pesanti anche i rischi di chi racconta i fatti di casa nostra e cosa nostra, ma non solo. Non piegare la schiena nel faccia a faccia fisico con un prepotente domestico, richiede più coraggio che ascoltare in piedi minacce satellitari dalla Russia con zero amore.