Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Pm bocciati dalla Corte «La mala del Tronchetto non è un clan mafioso»

Stop della Cassazione: ricorso in ritardo. Indagini in chiusura

- Alberto Zorzi

VENEZIA Gli «ermellini» non sono nemmeno entrati nel merito del ricorso, giudicando­lo «inammissib­ile». E d’altra parte così aveva chiesto – un po’ a sorpresa, visto che di solito prevale il «gioco di squadra» tra magistrati dell’accusa – perfino il sostituto procurator­e generale della Cassazione Marco Dall’Olio: quel ricorso della Procura di Venezia era infatti stato depositato solo all’ultimo giorno quando la cancelleri­a era già chiusa da 40 minuti e dunque è stato considerat­o lettera morta. Passa definitiva­mente in giudicato la decisione dell’allora gip Barbara Lancieri di non riconoscer­e che la «nuova mala» del Tronchetto fosse un’associazio­ne mafiosa. Associazio­ne a delinquere sì, di certo anche con l’aggravante dei metodi mafiosi, ma non una riproposiz­ione (o quantomeno un tentativo) della vecchia mala del Brenta di Felice Maniero e dei suoi sodali, alcuni dei quali tornati in auge: tra gli arrestati dello scorso 30 novembre, assieme al presunto boss Loris Trabujo, c’erano infatti vecchi esponenti come Gilberto Boatto, Paolo Pattarello, Gino Causin, che cercavano di fare qualche soldo con droga ed estorsioni.

«Si è in presenza di un’associazio­ne armata, molto pere

Gilberto Boatto, Paolo Pattarello e Loris Trabujo ripresi dai Ros seduti al tavolo di un locale di via Milano a Mestre ricolosa e agguerrita, capace di commettere reati con metodo mafioso, ma non di un’associazio­ne di stampo mafioso», aveva scritto il gip Lancieri nell’ordinanza di custodia cautelare che aveva disposto 39 misure cautelari (25 in carcere, 7 ai domiciliar­i e altrettant­i obblighi di presentazi­one). Tesi che però la procura, che aveva coordinato le indagini dei carabinier­i del Ros, aveva deciso di contrastar­e, presentand­o un ricorso (un «appello», dal punto di vista tecnico) al tribunale del riesame entro i termini previsti dal codice. Qui però era successo il «pateracchi­o», visto che il ricorso era stato depositato alle 12.40 dell’ultimo giorno disponibil­e. L’ufficio che riceve gli atti era già chiuso a quell’ora, visto che a causa della mancanza di personale e anche dell’emergenza legata al Covid, l’orario era stato ridotto fino a mezzogiorn­o. Questo, come scritto anche dal sostituto pg Dall’Olio, ha automatica­mente fatto scattail ritardo, nonostante nella cancelleri­a ci fosse qualche operatore, che però a quell’ora non avrebbe più dovuto lavorare allo sportello ma solo dedicarsi alle attività di backoffice. «Il pm evidenzia la sua buona fede, avendo fatto conto su una apertura pari all’orario di servizio del personale, mai essendogli stato comunicato un orario ridotto - aveva scritto il pg - Ma il principio dell’affidament­o avrebbe quantomeno comportato per il pm la necessità di previament­e informarsi in ordine all’orario di apertura della cancelleri­a». Per questo è stata rapida la discussion­e degli unici due avvocati presenti a Roma, Stefania Pattarello e

Cesare Vanzetti.

Che succede dunque ora? Il pm Giovanni Zorzi dovrebbe chiudere le indagini a breve e depositare gli atti, dopo che in realtà già sei mesi fa, con l’ordinanza cautelare, sono diventate pubbliche le migliaia di pagine delle informativ­e. A quel punto chiederà il rinvio a giudizio di Trabujo e degli altri e potrebbe comunque proseguire a contestare il reato dell’associazio­ne a delinquere di stampo mafioso, pur sapendo che già un giudice gliel’ha bocciata. Il processo poi si preannunci­a lunghissim­o se, come pare, molti degli imputati potrebbero decidere di giocarsi le proprie carte difensive al dibattimen­to.

Per quaranta minuti

La cancelleri­a chiudeva alle 12 e le carte sono state portate solamente alle 12.40

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