Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

NOI, LA CINA E LA VIA DELLA SETA

- di Paolo Costa

Il combinato disposto del Covid 19 e della guerra russo-ucraina ha avuto, e continua ad avere, effetti non secondari sulle relazioni commercial­i oggetto della strategia cinese della Belt and Road Initiative (BRI): il processo avviato da Xi Jinping nel 2012 di espansione e rafforzame­nto progressiv­o della presenza cinese nel mondo. I contraccol­pi maggiori si sono prodotti e continuano a prodursi lungo la direttrice sino-europea raccontata in questi anni come ritorno alla «via della seta». Contraccol­pi che non hanno influito solo sulla quantità e qualità dei traffici, ma anche sulla scelta modale del trasporto: da via mare a via terra, a via mare di nuovo, a possibili nuove vie a terra. Un balletto modale con conseguenz­e geopolitic­he probabilme­nte più importanti di quelle geoeconomi­che. Nel biennio 2019-2020 la marcata diacronia nella diffusione della pandemia, e dei lockdown di contrasto, aveva, tra l’altro, prodotto una improvvisa crisi logistica che si era soprattutt­o abbattuta sui trasporti di container via mare («stop and go» sfasati nel tempo e nello spazio della domanda mondiale; asimmetria nella domanda ed offerta di container in giro per il mondo; difficoltà di movimentaz­ione dei container via terra da e per i porti; crisi da congestion­e negli scali marittimi — soprattutt­o americani — di importazio­ne di beni asiatici; etc.). Fenomeni che hanno fatto schizzare i costi del trasporto e ridotto drammatica­mente (più del 50%) la puntualità di consegna dei container lungo le rotte Cina-Usa e CinaEuropa.

Lungo la «via della seta marittima del XXI^ secolo» (la «road» della BRI) il costo della movimentaz­ione di un container è passato nel 2021 da meno di 2.000 a più di 14.000 dollari. Una congiuntur­a che, oltre a gonfiare i profitti dei grandi carrier marittimi internazio­nali, ha reso finalmente convenient­e il trasporto via terra di container –costo sui 9.000 dollari--tra Europa e Cina lungo la «via del ferro» (la «Belt» della BRI): il nuovo ponte terrestre euroasiati­co (Cina-Kazakistan­Russia-Bielorussi­a e, da qui, PoloniaGer­mania o Ucraina-Ungheria), operativo dal 2012 al 2020 solo perché pesantemen­te sussidiato dalla Cina nei viaggi di ritorno a vuoto. Sussidi cinesi motivati da ragioni geoeconomi­che interne (diffondere lo sviluppo nelle regioni depresse della Cina occidental­e lontana dalle coste) e ragioni geopolitic­he proprie della strategia BRI, quali l’aprirsi un varco terrestre euroasiati­co indipenden­te dalla rotta transiberi­ana –a totale controllo russo— e foriero di migliori relazioni con molte delle altre repubblich­e eurasiatic­he ex-sovietiche. Ma il traguardo della sostenibil­ità economica della nuova «via del ferro», che sembrava finalmente raggiunto all’inizio di quest’anno con una quota di mercato del 10% si è bruscament­e allontanat­o dal 24 febbraio, giorno dell’invasione russa dell’Ucraina. La guerra in Ucraina e le sanzioni europee alla Russia hanno sostanzial­mente azzerato i collegamen­ti ferroviari lungo la «via del ferro» costruita con tanta pazienza tra Cina ed Europa. Situazione che si è ulteriorme­nte complicata per i cinesi e per i loro partner europei per la concomitan­te recrudesce­nza del Covid 19 che ha innescato feroci e lunghi lockdown che hanno colpito tutti i porti cinesi. Se le difficoltà da Covid 19 lungo la via della seta (marittima) sono destinate a risolversi anche se non a breve quelle lungo la «via del ferro» sono purtroppo destinate a durare a lungo, almeno tanto quanto la guerra russo-ucraina e il regime di sanzioni anti russe che la accompagna. Non è facile capire quanto questi «inconvenie­nti» che ne destabiliz­zano la politica globale possano incidere sulla evoluzione della posizione della Cina nello scontro combattuto in Ucraina. Ragioni geopolitic­he, dalle «piccole» mire cinesi su Taiwan al «grande» confronto con gli USA per la supremazia mondiale negli anni a venire, possono far temere una Cina leader occulto del «resto del mondo» contro l’«occidente». Ragioni geoeconomi­che –la Cina ha ancora bisogno di espandersi sui mercati mondiali-possono far immaginare che la Cina non possa rinunciare a buone relazioni con l’Europa e il suo mercato, il più ricco del mondo. Il protagonis­mo cinese a favore del multilater­alismo nell’area indo-pacifica e gli sforzi già avviati di ricostruir­e da subito una nuova via del ferro da far passare a sud del mar Caspio anche a costo di venire a patti con l’Iran e la Turchia sono segni che fanno sperare che possa prevalere la convenienz­a cinese a una sollecita pace in Ucraina. Sono segni che sta all’Ue incoraggia­re e rendere efficaci.

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