Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
NOI, LA CINA E LA VIA DELLA SETA
Il combinato disposto del Covid 19 e della guerra russo-ucraina ha avuto, e continua ad avere, effetti non secondari sulle relazioni commerciali oggetto della strategia cinese della Belt and Road Initiative (BRI): il processo avviato da Xi Jinping nel 2012 di espansione e rafforzamento progressivo della presenza cinese nel mondo. I contraccolpi maggiori si sono prodotti e continuano a prodursi lungo la direttrice sino-europea raccontata in questi anni come ritorno alla «via della seta». Contraccolpi che non hanno influito solo sulla quantità e qualità dei traffici, ma anche sulla scelta modale del trasporto: da via mare a via terra, a via mare di nuovo, a possibili nuove vie a terra. Un balletto modale con conseguenze geopolitiche probabilmente più importanti di quelle geoeconomiche. Nel biennio 2019-2020 la marcata diacronia nella diffusione della pandemia, e dei lockdown di contrasto, aveva, tra l’altro, prodotto una improvvisa crisi logistica che si era soprattutto abbattuta sui trasporti di container via mare («stop and go» sfasati nel tempo e nello spazio della domanda mondiale; asimmetria nella domanda ed offerta di container in giro per il mondo; difficoltà di movimentazione dei container via terra da e per i porti; crisi da congestione negli scali marittimi — soprattutto americani — di importazione di beni asiatici; etc.). Fenomeni che hanno fatto schizzare i costi del trasporto e ridotto drammaticamente (più del 50%) la puntualità di consegna dei container lungo le rotte Cina-Usa e CinaEuropa.
Lungo la «via della seta marittima del XXI^ secolo» (la «road» della BRI) il costo della movimentazione di un container è passato nel 2021 da meno di 2.000 a più di 14.000 dollari. Una congiuntura che, oltre a gonfiare i profitti dei grandi carrier marittimi internazionali, ha reso finalmente conveniente il trasporto via terra di container –costo sui 9.000 dollari--tra Europa e Cina lungo la «via del ferro» (la «Belt» della BRI): il nuovo ponte terrestre euroasiatico (Cina-KazakistanRussia-Bielorussia e, da qui, PoloniaGermania o Ucraina-Ungheria), operativo dal 2012 al 2020 solo perché pesantemente sussidiato dalla Cina nei viaggi di ritorno a vuoto. Sussidi cinesi motivati da ragioni geoeconomiche interne (diffondere lo sviluppo nelle regioni depresse della Cina occidentale lontana dalle coste) e ragioni geopolitiche proprie della strategia BRI, quali l’aprirsi un varco terrestre euroasiatico indipendente dalla rotta transiberiana –a totale controllo russo— e foriero di migliori relazioni con molte delle altre repubbliche eurasiatiche ex-sovietiche. Ma il traguardo della sostenibilità economica della nuova «via del ferro», che sembrava finalmente raggiunto all’inizio di quest’anno con una quota di mercato del 10% si è bruscamente allontanato dal 24 febbraio, giorno dell’invasione russa dell’Ucraina. La guerra in Ucraina e le sanzioni europee alla Russia hanno sostanzialmente azzerato i collegamenti ferroviari lungo la «via del ferro» costruita con tanta pazienza tra Cina ed Europa. Situazione che si è ulteriormente complicata per i cinesi e per i loro partner europei per la concomitante recrudescenza del Covid 19 che ha innescato feroci e lunghi lockdown che hanno colpito tutti i porti cinesi. Se le difficoltà da Covid 19 lungo la via della seta (marittima) sono destinate a risolversi anche se non a breve quelle lungo la «via del ferro» sono purtroppo destinate a durare a lungo, almeno tanto quanto la guerra russo-ucraina e il regime di sanzioni anti russe che la accompagna. Non è facile capire quanto questi «inconvenienti» che ne destabilizzano la politica globale possano incidere sulla evoluzione della posizione della Cina nello scontro combattuto in Ucraina. Ragioni geopolitiche, dalle «piccole» mire cinesi su Taiwan al «grande» confronto con gli USA per la supremazia mondiale negli anni a venire, possono far temere una Cina leader occulto del «resto del mondo» contro l’«occidente». Ragioni geoeconomiche –la Cina ha ancora bisogno di espandersi sui mercati mondiali-possono far immaginare che la Cina non possa rinunciare a buone relazioni con l’Europa e il suo mercato, il più ricco del mondo. Il protagonismo cinese a favore del multilateralismo nell’area indo-pacifica e gli sforzi già avviati di ricostruire da subito una nuova via del ferro da far passare a sud del mar Caspio anche a costo di venire a patti con l’Iran e la Turchia sono segni che fanno sperare che possa prevalere la convenienza cinese a una sollecita pace in Ucraina. Sono segni che sta all’Ue incoraggiare e rendere efficaci.