Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Leoncini, vandali impuniti l’inchiesta sarà prescritta Redentore, gel e impacchi
Il giudice rigettò i lavori socialmente utili: «Fatto troppo grave»
VENEZIA Ora tutti chiedono una punizione esemplare, anche penale. L’indignazione è – giustamente – altissima dopo lo sfregio subito dalla chiesa del Redentore poco dopo le tre di notte tra domenica e lunedì, quando un gruppo di giovani (per ora ne sarebbero stati identificati tre: un «artista» altoatesino, uno straniero e uno che lavora a Venezia) ha prima dipinto di rosso la lastra di pietra d’Istria sotto una delle statue della facciata, poi ci ha scritto sopra una formula all’apparenza matematica, in realtà senza senso. Ma c’è un precedente che lascia più di qualche dubbio sulla capacità del sistema di raggiungere questo obiettivo ed è proprio quello di un imbrattamento molto simile: quello dei due leoncini al fianco della Basilica di San Marco, che vennero dipinti anch’essi con una vernice rossa.
L’episodio, avvenuto a fine settembre del 2018, aveva creato più o meno lo stesso scalpore di quello odierno del Redentore. Anche in quel caso le indagini si basarono soprattutto sui video delle telecamere e riconobbero quattro studenti – tutti residenti fuori Vecon neto, tra i 20 e i 23 anni, tre dell’Accademia di Belle Arti e uno di Ca’ Foscari – che si giustificarono dicendo che erano ubriachi. Il pm Alessia Tavarnesi, che aveva in mano il fascicolo per danneggiamento e imbrattamento, alla fine aveva contestato il fatto materiale solo a due del gruppo e il loro avvocato Tiziana Nordio aveva concordato un percorso che portava alla cosiddetta «messa alla prova»: la pena sarebbe dunque stato «espiata» non con una condanna, ma con dei lavori socialmente utili, per far capire loro l’errore che avevano commesso. Anche il sindaco Luigi Brugnaro aveva «benedetto» questa soluzione, dopo che i ragazzi erano andati a chiedere scusa.
Ma quando l’accordo venne sottoposto al vaglio del gip dell’epoca, Massimo Vicinanza, questi lo ritenne troppo riduttivo in relazione alla «gravità» del fatto contestato. Tutto questo però ha, di fatto, «inceppato» l’indagine, che si è poi trascinata con l’avviso di conclusione delle indagini preliminari notificato nei mesi scorsi, in attesa che ora arrivi la richiesta di rinvio a giudizio e la fissazione dell’udienza preliminare. Nel frattempo però sono passati quasi quattro anni e dunque c’è la concreta possibilità che i reati vadano prescritti (per questi casi il termine va dai 4 ai 6 anni): anche se si dovesse terminare un processo di primo grado, non ci sarà mai il tempo per l’appello. Lo stesso Brugnaro, un paio di anni fa, si era lamentato: «Non si sono più fatti vedere, credo che sia stato un atto di vigliaccheria».
Per quanto riguarda i danni sulla facciata del Redentore, qualche rassicurazione arriva dal laboratorio di analisi dei materiali antichi dello Iuav, dove il professor Fabrizio Antonelli e la dottoressa Elena Tesser spiegano che anche quando il colore viene assorbito dalla pietra è comunque possibile un tentativo di salvataggio: «Specifici gel, impacchi mantenuti a lungo contro il marmo e microsabbiature possono essere possibili strategie per rimuovere i pigmenti arrivati in profondità. Attenzione però che parliamo sempre di pochi micron, non di dieci centimetri dentro la pietra d’Istria». Gli specialisti comunque non si sbilanciano: prima di qualsiasi ipotesi è necessaria un’analisi approfondita della vernice utilizzata, «e anche del substrato su cui hanno dipinto i vandali, visto che a seconda dell’usura del marmo il colore potrebbe aver trovato una superficie più o meno porosa». La raccomandazione fondamentale resta quella di agire il prima possibile: «Anche senza la pioggia, l’escursione termica della pietra crea ogni giorno uno strato di condensa: anche quella favorisce la migrazione dei pigmenti per capillarità attraverso il marmo. Tanto più in un ambiente umido come la laguna e in questo periodo dell’anno».