Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Quella foto e il popolo di Vasco, il re dei concertoni

- Giovanni Montanaro

Anime fragili, le cose dentro come un pugno, la vita poi è una sola, le donne che non hanno più voglia di fare la guerra, la television­e e la maleducazi­one. Perché quel suo mondo è intimo, esatto; più di provincia che di città, più di quartiere che di negozi eleganti, è qualcosa di piccolo, ed enorme, senza falsità, ostentazio­ni, pantaloni corti e bambini che nascono, Appennino e oceani, tshirt e la poesia della vita, che mica passa per i grandi concetti, i grandi studi, ma che tocca a tutti. L’amore, soprattutt­o. E soprattutt­o il corpo. Il corpo che contiene il desiderio, la fantasia, l’emozione, la frenesia, che non è mica meno dell’anima, ma che anzi la nutre, la ruggisce. Ed è proprio dal corpo, che si riparte adesso. Dall’idea di tornare vicini, insieme. Dalla voglia di superare le paure (e magari non le buone pratiche che, tragedia a parte, a tanti hanno evitato persino un raffreddor­e negli ultimi due anni). Ma è come se tutti ci dicessimo che vogliamo tornare lì, in mezzo a un prato, tutti insieme, a cantare, a risentire che la vita è quella di prima. E poco importa che sì, forse tutti ci siamo abituati a portare in casa le cose, ad avere dovunque, in ogni momento, tutta la musica che vogliamo, e i più giovani ancora di più, se preferisco­no Spotify (dove i trapper vincono su Vasco Rossi) alle arene. Quel popolo di Vasco Rossi, in realtà, ci smentisce; sono giovani e adulti, maschi e femmine, operai e studenti, e poco importa quali categorie siano più numerose e quali meno. Si ritrovano tutti, a Trento, a cantare le stesse canzoni. E un poco, così, ci ritroviamo anche noi.

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