Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

La bimba, i ragazzi, la ventenne altre quattro vite devastate «Pensare alle madri li aiuterà»

Valentina, orfana di femminicid­io: ora il braccialet­to elettronic­o

- Di Davide Orsato

VENEZIA Hanno 14 e 16 anni, 11 e 20. Tutti si sono ritrovati, nella maledetta giornata di mercoledì 8 giugno senza la loro mamma. Due di loro hanno perso anche il padre, un padre che, in ogni caso, aveva smesso di occuparsi di loro da tempo. Un padre che hanno scoperto essere capace di uccidere la persona che ha rappresent­ato il loro primo legame con il mondo. Oltre Lidija, oltre Gabriela, sono loro le vittime della violenza scatenata da Zlatan Vasiljevic: tre ragazzini e una ventenne.

Proprio Zlatan, con Lidija, ne aveva messi al mondo due, il primogenit­o nel 2006, la più piccola nel 2008: nati in Italia, perfettame­nte integrati, per loro il serbo è una seconda lingua lontana parlata da genitori e parenti, e nemmeno troppo spesso. Vanno entrambi a scuola, amici e insegnanti garantisco­no che sono bravissimi e diligenti. Poi ci sono le figlie di Gabriela: una ragazza di vent’anni, che al momento del delitto si trovava con il padre a Maiorca e una di undici che viveva con la mamma a Rubano.

In entrambi i casi sono entrati in campo i servizi sociali, quelli del comune alle porte di Padova e quelli di Schio, dove Lidija si era rifugiata dai suoi genitori. Non che non fossero, finora, a conoscenza delle due situazioni. Proprio i servizi sociali di Schio avevano ottenuto, con una sentenza, l’affido esclusivo: la ragione, forse, risale a una scelta compiuta da Lidija nel 2019, quando - contro le raccomanda­zioni di chi seguiva il suo caso - li aveva portati dal padre, quello stesso padre che non ha mai versato un euro di alimenti, e a cui era stata sospesa la potestà genitorial­e. Attivata anche la task-force degli assistenti sociali a Rubano.

«La famiglia di Gabriela Serrano - conferma il sindaco Sabrina Doni - era seguita da quando c’era stata la denuncia all’ex marito». E se i figli di Lidija e Zlatan possono contare su una rete familiare (in primis i nonni), nel secondo caso un ruolo potrebbe spettare anche al padre: Alezandro Naja, infatti, si apprende da fonti del Comune, avrebbe comunque continuato a tenere buoni rapporti con le figlie, come proverebbe, del resto, il fatto che una delle due era insieme a lui alle Baleari. Fino a qui i doveri degli uffici, con il capitolo, sempre difficile, della presa in carico di situazioni familiari drammatich­e. Resta, però, un altro aspetto, che ha a che fare con la dimensione più intima, quello del vissuto psicologic­o. Se i femminicid­i, ogni anno, in Italia, superano sempre il centinaio, allora sono decine i figli, piccoli e grandi, che devono fare i conti con un lutto pesantissi­mo.

«All’inizio si vede tutto buio. Le energie per andare avanti le si deve trovare dentro di sé». A parlare è chi ha vissuto questa terrifican­te esperienza. Valentina Belvisi, il cui padre ha ucciso la madre nel 2019 (lei aveva 24 anni) è una delle poche «orfane di femmincidi­o» che ha cominciato a parlare della sua condizione. Il destino l’ha portata, da milanese, a Thiene, a una manciata di chilometri dalla città dove viveva

Lidija con i suoi figli. E proprio lo scorso 25 novembre ha raccontato la sua esperienza (e della scelta di rinunciare al cognome paterno) a una scolaresca di Montegalda, sempre nel Vicentino.

«Non è facile ripartire — racconta — io ho cambiato città, amicizie, tutto. Ma proprio qui ho incontrato quello che è diventato il padre di mio figlio. Quando si è testimoni di una violenza così grande, c’è il rischio di isolarsi. Io ho trovato la forza di reagire grazie all’esempio di mia madre: una donna giusta e che mi ha amato. Pensando a lei sono riuscita a ricostruir­e la mia vita e ora voglio dare al mio bambino quello che si merita: tutto l’amore del mondo». Anche Valentina è stata sconvolta dalla vicenda che ha visto vittime Lidija e Gabriela: «Quando ci sono precedenti del genere, il divieto di avviciname­nto non andrebbe mai tolto. E se proprio si vuole mettere in libertà qualcuno, allora si usi il braccialet­to elettronic­o».

"Valentina Belvisi Ho cambiato città e amici e poi, qui a Thiene, ho conosciuto il padre di mio figlio

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