Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Bracciale elettronico usiamolo di più Recupero dei violenti? Serve prudenza»
Avvocato Giulia Bongiorno, questa è una settimana nerissima in Veneto, tre femminicidi in pochi giorni. Nel caso di Vicenza l’omicida era finito già in carcere per gli abusi inflitti alla moglie. E c’era anche un divieto di avvicinamento. Cosa si può fare di più, quali altri strumenti ci sono per prevenire questa mattanza?
«Decidere quale misura applicare richiede una valutazione molto attenta. Quando è evidente l’esistenza di un rischio reale e immediato per la vita altrui, e quindi un rischio di violenza, il divieto di avvicinamento non basta: servono altre misure, adeguate e proporzionate al livello di rischio rilevato, come la custodia cautelare in carcere o gli arresti domiciliari. Con il Codice Rosso è stata introdotta la possibilità di applicare, unitamente alla misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, il cosiddetto braccialetto elettronico».
Esiste un problema di organico delle forze dell’ordine nel seguire le denunce di donne abusate?
«Per le donne, uscire dal silenzio e sporgere denuncia è spesso molto difficile; se poi lo Stato non garantisce interventi immediati di tutela, di fatto le tradisce. Non sempre il personale che riceve le denunce è adeguato, in termini di numero ma anche, ahimè, di preparazione: ecco perché, quando ho scritto le norme sul Codice Rosso, ho inserito anche una previsione – a cui bisogna assolutamente dare seguito – dedicata all’obbligo di formazione per Polizia di
Stato, Arma dei Carabinieri e Polizia penitenziaria. Mi sembra doveroso sottolineare, tuttavia, che in molte occasioni l’intervento delle forze dell’ordine è stato decisivo. Serve quindi personale, e che sia capace di dedicarsi in maniera specialistica ai procedimenti di violenza domestica e di genere. Soltanto così può prendere forma una sequenza di azioni mirate: denuncia, comunicazione immediata della notizia di reato, ascolto tempestivo della vittima, svolgimento delle indagini senza ritardi, valutazione e disposizione della misura di protezione adatta al caso concreto».
Come si garantisce, concretamente, alle vittime una reale protezione dal compagno violento?
«Innanzitutto, ascoltandola subito per comprendere i fatti e valutando in maniera esaustiva i rischi cui si trova esposta: quando si tratta di violenza domestica, le denunce necessitano di un intervento attivo. Altrimenti l’uomo può continuare a minacciare e ad aggredire, senza ostacoli e in totale impunità, in un’escalation che rischia di risultare fatale. Il tempo che intercorre tra il momento in cui le donne denunciano una violenza e quello in cui l’autorità giudiziaria si fa carico di verificare la gravità dei fatti denunciati spesso fa la differenza tra la vita e la morte. Se la donna che denuncia non viene tutelata, non solo è a rischio la sua personale incolumità – e spesso anche quella dei suoi figli –, ma si scoraggiano anche altre donne dal denunciare».
Alcune parlamentari chiedono di inasprire le condizioni carcerarie dei condannati eliminando sconti di pena e permessi…
«Purtroppo, l’incremento di casi di violenza all’interno della famiglia è pressoché costante ed è strettamente legato a un retaggio culturale fatto di stereotipi e pregiudizi per effetto dei quali la donna è considerata un essere inferiore. Serve un rinnovamento culturale fondato su eguaglianza e rispetto, e un’applicazione rigorosa delle leggi esistenti. Anche un’ottima legge come il Codice Rosso, se non viene applicata correttamente non può raggiungere i suoi obiettivi».
Referendum, la vittoria del sì renderebbe impossibile, come sostiene parte della magistratura, disporre misure cautelari in casi di violenza domestica?
«No, a dire il vero non è così. Anche con la vittoria del sì, se vi è il pericolo che un indagato commetta gravi reati (compresi i casi di violenza) potrà sempre essere applicata anche la custodia cautelare in carcere. Questo vale anche per quanti sono accusati di atti persecutori, quando vi è il pericolo che la loro condotta degeneri in
Gli omicidi arrivano da lontano, da tante piccole, subdole violenze
atti di violenza».
Il killer di Vicenza aveva seguito il corso per uomini violenti. Questi percorsi servono? Vanno modificati?
«L’idea dei percorsi è sicuramente positiva, ma è indispensabile verificare come sono strutturati e se chi vi partecipa lo fa animato da reali intenzioni di cambiamento personale. Possono essere utili, ma attenzione a non attribuire a questi percorsi valore decisivo. Sarebbe un grave errore».
A ogni tragedia lo si ripete: mai sottovalutare il primo schiaffo, la prima umiliazione…
«L’uccisione di una donna è quasi sempre l’esito di un’escalation di violenze, che spesso all’inizio sono piccole, subdole, quasi invisibili; e proprio per questo, tanto più difficili da identificare come tali. Molte pensano che sia “qualcosa di sbagliato”, ma non un crimine. La violenza non è fatta solo di schiaffi, i lividi sull’anima a volte sono persino più dolorosi e pericolosi di quelli sul corpo. La Fondazione Doppia Difesa offre aiuto legale e psicologico alle vittime di violenza e cerca di sostenerle, di creare consapevolezza, portandole a riconoscere certe forme di violenza “nascosta” e a non sottovalutarle. Inoltre, siamo convinti che la battaglia contro la violenza si combatte anche sul terreno dell’educazione e del rinnovamento culturale; innanzitutto, dunque, in famiglia e a scuola. Non è mai troppo presto perché i bambini comprendano l’importanza del rispetto e che uomini e donne sono uguali. Diversi ma uguali, quando si parla di diritti, doveri e opportunità».