Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Nelle due città la sfida fra i guru della comunicazione
«Torna il sindaco», questo lo slogan, incisivo, tocca ammetterlo, scelto da Flavio Tosi per tentare di riprendersi Verona. Preceduto, fin da dicembre, da un iconico «Flavio Tosi. Sindaco». Dietro c’è Roberto Bolis. Già portavoce di Tosi sindaco e consulente politico, «vecchia scuola». Ma in politica, spesso, è un’attestazione di valore. Uno slogan che ti entra in testa e fa centro ma che, per funzionare, ha bisogno di camminare sulle gambe del candidato in questione descritto come «infaticabile». Tosi batte la città da settimane, palmo a palmo, mercato dopo mercato, cantiere dopo cantiere, «inaugurando» virtualmente opere pensate durante la sua amministrazione appena qualche ora prima che le inauguri davvero il sindaco uscente Federico Sboarina.
In questa strategia spavalda c’è molto di Tosi e molto di Bolis. Di segno uguale e opposto è la traiettoria per certi versi stupefacente di Damiano Tommasi nel campo avversario: apparizioni strettamente «politiche» rarefatte e una sorta di «anti-campagna» che è riuscita a far parlare parecchio di sé. Strategia che sfiora il metafisico e strizza l’occhio al monito di Ludwig Mies van der Rohe «Less is more», «meno è meglio». Farina dell’ex centrocampista? A seguire la sua campagna è il sociologo vicentino Giovanni Diamanti (con, all’attivo, le campagne per Sala, De Luca, Zingaretti, Nardella, Gualtieri. Non proprio bruscolini). Diamanti, ascoltando l’alto volume della sanguigna politica scaligera, deve aver pensato che abbassare il volume fosse una buona idea. Di certo, Tommasi, non sta passando inosservato, a giudicare dalle pagine monografiche sulla stampa nazionale. Nulla di tutto ciò, ovviamente, accade per caso.
Nonostante la frenesia, l’affanno degli spostamenti impossibili (per spremere una tappa in più) e le camicie inamidate di riserva. Bene, a scandire il ritmo, dietro al candidato, c’è sempre un «metronomo». All’americana sono «spin doctor», in Italia vengono chiamati più spesso «guru» con una vaga eco sciamanica necessaria, forse, a portare a casa il risultato. Su Verona, rimanendo al trio che si litigherà il biglietto per il ballottaggio, resta da raccontare Sboarina che, come tutti gli uscenti, punta sui risultati raggiunti e sui progetti in pista, in primis quello che risponde al nome altisonante di «Central Park». La scelta, in questo caso, è caduta su Alessandro Gonzato. Dna veronese, giornalista di Libero con, all’attivo, un’esperienza lampo tutt’altro che felice con Luca Bernardo, candidato semi sconosciuto del centrodestra a Milano «mollato» da Gonzato dopo 40 giorni «per incompatibilità professionale». Con Sboarina, però, glielo riconoscono tutti, sta facendo un lavoro onesto. Avendo individuato come tallone d’Achille del sindaco uscente la «scarsa empatia», Gonzato l’ha rimesso in pista portandolo a essere fisicamente presente a ogni angolo della città.
Se Verona è una piazza complicata, Padova è una polveriera. L’uscente Sergio Giordani vive col centrosinistra una campagna elettorale quasi surreale in cui, per assurdo, meno ci si agita più i sondaggi regalano soddisfazioni. Tanto che a seguire le operazioni non è un esterno bensì Massimo Bettin, portavoce e «sindaco ombra» a dar retta ai maligni. L’azione, ma non necessariamente è una buona notizia, sta tutta nel campo avverso. Formalmente l’imprenditore Francesco Peghin è al timone di una corazzata: tutto il centrodestra compatto e non uno, bensì due, spin doctor di grido. Partiamo dal piacentino Mauro Ferrari che ha già firmato le vittorie (giusto per limitarci al Veneto) di
Luigi Brugnaro a Venezia, Mauro Armelao a Chioggia e, vuole il caso, proprio di Giordani 5 anni fa con il claim «Il buonsenso, finalmente» che si attagliava meravigliosamente al volto segnato e rassicurante di Giordani. C’è, poi, il contributo del milanese Marco Marturano, che nel 1999 condusse Giustina Destro alla vittoria contro il sindaco uscente Flavio Zanonato salvo poi, cinque anni dopo, in occasione della nuova contesa tra i due, portare proprio Zanonato a Palazzo Moroni. Corsi e ricorsi patavini. Per Peghin il duo Ferrari-Marturano ha puntato tutto sul color fucsia, sullo slogan «Serve adesso» e «Serve a Padova» e, infine, sulla veste di civil servant per l’imprenditore voluto da Massimo Bitonci e (molto) mal digerito dalla Lega padovana. La campagna elettorale di Peghin è partita nel nome della mitezza per arrivare però, è storia recente, a toni sempre più accesi. Un segnale, suggeriscono i detrattori, di nervosismo. Possibile con un duo tanto formidabile a gestire la strategia? La risposta, indirettamente, la dà Bolis all’ombra dell’Arena: «Se Tosi passa per Piazza Bra ci mette 30 minuti, Sboarina 5. Dipende da quante persone ti fermano…». Ecco, al netto dei manuali di strategia politica, a ogni elezione, resta un solo elemento decisivo: il candidato.
L’elemento umano Lo ammettono anche gli addetti ai lavori: strategie a parte, alla fine conta il candidato