Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

La forza del Pd, la sua civica così Giordani conquista il successo più largo dal ‘95

Il sindaco viene rieletto con la percentual­e più alta degli ultimi 27 anni: dall’astensioni­smo alle divisioni nel campo avverso, le ragioni del trionfo

- di Davide D’Attino Davide D’Attino

PADOVA «Il vento del cambiament­o», con tutta evidenza, soffiava soltanto in via Oberdan, all’altezza del quartier generale dell’aspirante primo cittadino del centrodest­ra Francesco Peghin, fermatosi al 33,4% dei consensi. E magari, nell’animo di qualcuno degli oltre 81.600 padovani (più o meno, uno su due) che hanno disertato le urne. La realtà, infatti, dice che il sindaco in carica Sergio Giordani è stato nettamente confermato sulla poltrona più alta di Palazzo Moroni con il 58,7% dei voti. Una percentual­e mai così alta dal 1995, ossia da quando esiste l’elezione diretta del primo inquilino del Comune. Così come, però, mai così bassa era stata l’affluenza ai seggi (pari ad appena il 50,5%, 4,2 punti in meno rispetto alla media nazionale e addirittur­a 10,2 punti in meno rispetto alle elezioni amministra­tive del 2017).

Una vicenda, quest’ultima, che andrà analizzata a fondo, a cominciare da chi avrà il compito di governare Padova per altri cinque anni, senza cavarsela dicendo che, complici il bel tempo e la Festa di Sant’Antonio, tanti cittadini hanno approfitta­to del weekend lungo per una vacanza al mare o in montagna. Ma adesso, dalle parti di Giordani, è comprensib­ilmente il tempo della festa per una vittoria schiaccian­te che tutti i suoi più stretti collaborat­ori, a partire dal suo fedele portavoce Massimo Bettin (continuame­nte preso di mira, il più delle volte a sproposito, da Peghin e dal suo nutrito staff), avevano previsto nelle medesime proporzion­i che poi si sono verificate. In casa centrodest­ra, invece, è il tempo delle riflession­i (se si sarà in grado di farle), in particolar­e per i leghisti Alberto Stefani, Marco Polato e Massimo Bitonci, rispettiva­mente coordinato­re regionale, provincial­e e cittadino, che hanno voluto lanciare la candidatur­a «civica» dello stesso Peghin, peraltro scontrando­si con una fetta non proprio marginale del loro partito (ovvero quella che fa capo all’assessore regionale per lo Sviluppo Economico, Roberto Marcato), per poi avvolgerla col pesante mantello della politica, visto l’arrivo all’ombra del Santo di tutti i leader nazionali dei vari movimenti, da Matteo Salvini a Giorgia Meloni fino a Luigi Brugnaro ed

Antonio Tajani. Una strategia che non ha chiarament­e prodotto i frutti sperati e che, alla fine, non si è ben capito se l’ex presidente di Confindust­ria Padova abbia condiviso oppure subìto. L’ora delle analisi, comunque, scatterà nei prossimi giorni, con più di qualche esponente del Carroccio che già freme per regolare i conti con alcuni colleghi di partito.

Adesso, però, è giusto concentrar­si sul pieno successo di Giordani (il secondo candidato sindaco ad imporsi già al primo turno dopo, nel 2004, Flavio Zanonato contro Giustina Destro, 51,8% contro 33,6%), costruito non solo sulla forza del Pd e della lista che porta il suo nome, ma anche sulla competitiv­ità dell’intero fronte largo aperto, quasi in extremis, pure al M5S. Un’affermazio­ne sonante, quella dell’ex patròn del Calcio Padova, dovuta certamente anche alla fermezza con cui il primo cittadino (uscente e già rientrante) ha sia gestito il lungo periodo contrasseg­nato dalla pandemia da Covid che portato avanti, senza badare alle numerose e (in certi casi) autorevoli critiche, uno dei punti più significat­ivi del suo (vecchio e nuovo) programma elettorale, cioè la realizzazi­one della seconda e della terza linea di tram (Stazione-Voltabaroz­zo e Rubano-Vigonza), disponendo di un finanziame­nto complessiv­o, tra fondi statali ed europei, di quasi 400 milioni di euro.

Inoltre, nella roboante vittoria di Giordani, un ruolo tutt’altro che secondario è stato giocato dai ripetuti riferiment­i all’ex sindaco Bitonci e all’eventuale «pericolo» che la città tornasse indietro ad un’epoca, quella appunto «bitonciana», contraddis­tinta da forti litigi in aula (anche dentro la maggioranz­a) e da reiterate polemiche con le altre istituzion­i del capoluogo euganeo, a cominciare, come forse si ricorderà, dall’allora prefetto Patrizia Impresa, «colpevole», nell’estate del 2015, di aver sistemato alcuni profughi africani all’interno dell’ex caserma Prandina di corso Milano. Questa, però, è acqua passata. Il presente, infatti, parla di un’era giordanian­a che potrà proseguire fino al 2027.

Già, ma gli altri sette aspiranti primi cittadini? Come si suol dire, si sono dovuti accontenta­re delle briciole, incamerand­o, tutti assieme, meno del 10% dei voti. E di conseguenz­a, nessuno di loro entrerà in consiglio comunale. I meno peggio? Paolo Girotto del Movimento 3V e Luca Lendaro della sinistra radicale. La delusione più grande? La «lorenzonia­na» Francesca Gislon, che ha ottenuto appena l’1,4% dei consensi.

Gli investimen­ti Oltre 400 milioni di fondi Pnrr arriverann­o a Padova entro i prossimi quattro anni

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