Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Al Passo Fedaia tra i droni in volo e le auto sul piazzale che nessuno reclama

- Silvia Madiotto

BELLUNO Passo Fedaia è il luogo dell’attesa e della speranza. Che i droni trovino qualcosa perché i soccorrito­ri possano intervenir­e, recuperare qualcuno, restituire un corpo. O che qualcuno venga a ritirare quelle macchine, ferme in un parcheggio ai piedi della Marmolada da domenica mattina, quando i passeggeri hanno spento il motore e messo le chiavi nello zaino, partendo verso il sentiero.

Sono quelle automobili una delle immagini più strazianti. Un’utilitaria romena. Una targa della Repubblica Ceca sulla Dacia Blu. Un adesivo della Val di Fassa sulla C3 grigia. E la Fiat 500 di Paolo Dani, guida alpina, una delle vittime. Mai ripartite, mai reclamate. «Magari quella lì è di qualcuno che lavora in un rifugio ed è salito in funivia», prova ad abbozzare un passante davanti a un parcheggio che visto così pare un cimitero fatto di lapidi che non volevano esserlo. «Magari», gli rispondono. È quasi una formalità dirlo - quel «magari» a cui si fa fatica a credere sul serio perché ormai sono pochi quelli che non rispondono all’appello. E restano lì, a ricordare la tragedia di una improvvisa

"Il glaciologo Ci sarei andato anch’io, condizioni di partenza erano buone e le guide alpine non sono sprovvedut­e

colata d’acqua e detriti che si è trascinata via decine di persone.

Alle sette di ieri mattina, il soccorso alpino e la protezione civile erano già al Passo Fedaia, pronti a intervenir­e, in costante contatto radio con la centrale operativa. Ma nessuno di loro poteva salire in quota: non era sicuro. Così sono entrati in campo i droni. «Utilizziam­o i velivoli a controllo remoto perché c’è ancora un forte rischio residuo di caduta di materiale – spiega Alex Barattin, delegato del soccorso alpino di Belluno - una corte di ghiacciaio ancora in bilico, non possiamo rischiare la vita dei soccorrito­ri». I manovrator­i sono stati inviati lungo le aree laterali del distacco, in zona sicura: sono state le macchine a sorvolare il ghiacciaio e il canale naturale sotto il Pian dei Fiacconi, dove potrebbe essere confluita una parte dell’acqua della valanga. «La zona da monitorare è molto estesa – rileva Barattin - dai tremila metri fino a dove siamo noi, qui, due chilometri di percorso di colata detritica, e non possiamo escludere nemmeno i versanti laterali». Quando (se) i droni avvistano qualcosa, l’elicottero atterra al Passo Fedaia a raccoglier­e i soccorrito­ri per trasportar­li sul luogo del ritrovamen­to. Non è mai successo, e quando si è scatenato un forte temporale anche gli operatori si sono dovuti arrendere.

Poco prima era arrivato Jacopo Gabrieli, glaciologo che lavora al dipartimen­to di Scienze polari del Cnr a Venezia. La domanda è spontanea: si poteva prevedere un fenomeno simile? «No, ci sarei andato anch’io sulla Marmolada, poca neve rende ben visibili i crepacci rendendo il passaggio più sicuro, le condizioni di partenza erano buone e le guide alpine non sono sprovvedut­e – risponde -. Il crollo di un seracco è per definizion­e imprevedib­ile, può succedere, ma le condizioni perché accada non sono istantanee o giornalier­e. I 10.4 gradi di domenica non erano significat­ivi. Lo è invece che da due mesi facesse così caldo. Dobbiamo fare una seria riflession­e sulla rapidità dei cambiament­i climatici. Il ghiacciaio segue le equazioni della fisica, non fa i dispetti, non è stato compreso un sistema complesso». I numeri sono già evidenti: il ghiacciaio più grande delle Dolomiti si riduce di venti, trenta metri ogni anno, dal 2004 al 2014 ha perso il 30% cento di massa e il 22 di superficie. «Una cosa incredibil­e – continua Gabrieli -. La conformazi­one che vediamo oggi, negli ultimi anni si vedeva a settembre. Non a giugno».

E mentre infuria la tempesta e tutti rientrano, le uniche a non muoversi sono le auto dei dispersi e delle vittime, ai piedi della Marmolada. «Purtroppo, qui, ne sono rimaste tante – sospira la titolare del rifugio Cima 11 - Magari però stanno bene e li fanno scendere dalla ferrata, di là, perché di qua non possono». Magari.

 ?? ?? Controlli incrociati Lungo e penoso il controllo incrociato degli intestatar­i delle auto abbandonat­e ai piedi del Fedaia
Controlli incrociati Lungo e penoso il controllo incrociato degli intestatar­i delle auto abbandonat­e ai piedi del Fedaia

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