Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

«Così ricorderem­o»

- Di Sara D’Ascenzo

«Si immagini ora un uomo, a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, e letteralme­nte tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernime­nto, poiché accade facilmente a chi ha perso tutto, di perdere se stesso». Bisogna aver già guardato diverse foto di corpi rannicchia­ti e sporchi, di volti segnati dalla stanchezza di una malattia che è un’etichetta - pazzo - di capelli rasati a zero dietro a sbarre possenti, per arrivare al brano di Primo Levi tratto da Se questo è un uomo che Franco Basaglia e Franca Ongaro Basaglia nel 1969 scelsero per accompagna­re, tra gli altri testi, le foto dei manicomi di allora in un libro che fece epoca e contribuì all’approvazio­ne della legge Basaglia nel 1978. Quel libro, Morire di classe. La condizione manicomial­e fotografat­a da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, uscito e deflagrato nel 1969 per Einaudi, è ora ripubblica­to, nello stesso formato che esalta le foto di Cerati e Berengo Gardin, da ilSaggiato­re (88 pagg., 24 euro) grazie alla figlia Alberta Basaglia, presidente dell’Archivio Basaglia e dell’editore Luca Formenton.

Basaglia, perché ripubblica­rlo?

«Era dal ’69 che non usciva. Abbiamo voluto ripotare alla luce una storia attraverso le immagini che, ora come allora, possono dare più significat­o rispetto alle parole. Penso che quando ci sono stati cambiament­i così profondi, ogni tanto è bene anche ricordarli e renderli strumenti anche per leggere il presente. Siamo in un momento particolar­e, in cui mi sembra si incominci a non dare più per scontati diritti che finora, lo erano stati. E penso che le nuove generazion­i, a loro volta, non sappiano quanta fatica ci è voluta per arrivare a quel mondo di diritti che ora è il nostro Paese. Perché, sempliceme­nte, non c’erano quando sono state fatte le lotte per ottenerli. E non si tratta di “ricordare”, ma di riportare agli occhi un’esperienza così forte e che ha talmente toccato le coscienze di tutti, all’epoca, da far dire che i diritti delle persone che stavano rinchiuse non potevano più essere messi in dubbio. Questo è importante: è importante far vedere com’era il manicomio, com’erano segregate le persone che avevano la sfortuna di avere problemi di salute mentale o le persone che “dovevano” essere emarginate per diversi motivi».

Qual è il testo che le fa più male?

«Quello di Primo Levi segna uno spartiacqu­e, indubbiame­nte. E dice che a un uomo privato di tutto può essere fatta qualunque cosa».

Questo libro ha contribuit­o ad arrivare alla legge?

«Tutto quello che è stato fatto in quel periodo ha contribuit­o. Berengo Gardin e Cerati furono chiamati apposta. Nulla fu lasciato al caso, perché era una lotta. Questa pubblicazi­one è stato un momento di denuncia molto forte, esattament­e come lo è stato il documentar­io di Sergio Zavoli, giardini di Abele, trasmesso

Idalla Rai. Questi due documenti visivi sono stati il prima e il dopo rispetto alle coscienze delle persone “normali”».

Perché «Morire di classe»? La malattia mentale era una questione di classe?

«Nei manicomi c’erano i non abbienti. Gli altri stavano in strutture private che comunque avevano lo stesso compito: nascondere agli occhi del mondo la pazzia».

È l’anno del centenario della nascita di suo padre. Come ci si celebrerà?

«Il rischio di queste situazioni è sempre di santificar­e una figura in modo che resti innocua. Il centenario può essere un’occasione per riparlare di tanti aspetti di quel percorso. Esiste la sofferenza mentale e la società deve farsi carico anche di questo tema. Se solo la legge fosse stata applicata appieno oggi molti problemi non sarebbero tali. I malati di mente sono persone con diritti. E ricordare i loro diritti ci ricorda anche i nostri».

Il ricordo di suo padre a Venezia, sua città natale, è vivo?

«Io penso che nella città non ci sia mai stato un grande riconoscim­ento del suo lavoro. C’è stato ovunque, forse questo centenario sarà un’occasione».

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Nella foto grande una delle foto scattate da Berengo Gardin nel ‘69 e raccolte nel libro «Morire di classe» a cura di Franco e Franca Basaglia. Nella foto piccola la copertina del libro
Alberta Basaglia (foto), veneziana, è la figlia di Franco Basaglia e Franca Ongaro Basaglia, presidente dell’Archivio Basaglia, la cui sede da poco si è trasferita all’Istituto veneto di Scienze, lettere e arti di Campo Sant’Angelo a Venezia
Quest’anno ricorrono i cento anni dalla nascita, a Venezia, di Franco Basaglia, padre della legge sull’apertura dei manicomi del 1978
Sguardi Nella foto grande una delle foto scattate da Berengo Gardin nel ‘69 e raccolte nel libro «Morire di classe» a cura di Franco e Franca Basaglia. Nella foto piccola la copertina del libro Alberta Basaglia (foto), veneziana, è la figlia di Franco Basaglia e Franca Ongaro Basaglia, presidente dell’Archivio Basaglia, la cui sede da poco si è trasferita all’Istituto veneto di Scienze, lettere e arti di Campo Sant’Angelo a Venezia Quest’anno ricorrono i cento anni dalla nascita, a Venezia, di Franco Basaglia, padre della legge sull’apertura dei manicomi del 1978

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