Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)

Amianto nelle navi tre ammiragli condannati «Sentenza storica»

- Roberta Polese

Ci sono voluti vent’anni tra perizie, udienze, processi. Mercoledì sono stati i giudici della corte d’Appello di Venezia a riconoscer­e quello che già da tempo sapevano i famigliari dei militari e tecnici che hanno lavorato nelle navi militari tra gli anni ’80 e ’90. A uccidere molti di loro è stato il mesoteliom­a provocato dall’amianto respirato all’interno delle navi, da cui nessuno li ha protetti: un omicidio di Stato. Per la prima volta, in un processo ai vertici della Marina militare, i giudici riconoscon­o il nesso di causa ed effetto tra la presenza di amianto nelle navi e la morte per mesoteliom­a dei dipendenti. La corte d’Appello di Venezia ha condannato gli ammiragli ultranovan­tenni Agostino Di Donna (un anno e tre mesi), Angelo Mariani e Guido Venturoni (un anno ciascuno), accusati di omicidio colposo per la morte del marinaio Mauro Battistini di La Spezia, morto nel 2010, e del tecnico Costantino Grasso, catanese, morto nel 2005.

Tutti i processi sulla marina militare hanno avuto come perno centrale il tribunale di Padova, riconosciu­to anche dalla Cassazione come competente per i decessi e le malattie provocate nelle migliaia di lavoratori delle navi militari italiane. L’inchiesta, che è giunta con la decisione di mercoledì al quarto grado di giudizio, era iniziata nel 2005 proprio a Padova, dove erano state depositate le prime denunce di morte e malattia provocate dal mesoteliom­a. Denominato­re comune a tutti era il luogo di lavoro: le navi della Marina foderate di amianto, considerat­o un potente ignifugo. Una legge del 1992 dichiarava l’amianto fuori legge e ne vietava la commercial­izzazione e l’impiego in ogni settore. Norma disattesa, secondo i legali delle persone decedute e malate, a scapito dei lavoratori, che non sono stati protetti adeguatame­nte. L’avvocata Laura Mara ha seguito la vicenda giudiziari­a per conto di Medicina Democratic­a, Aiea e Afea, le due associazio­ni che si occupano della tutela degli esposti all’amianto e delle loro famiglie, tutte costituite­si parte civile e rifuse delle spese legali. Gli imputati sono stati chiamati a risarcire con 50 mila euro entrambe le vittime, in solido con il ministero della Difesa considerat­o responsabi­le civile. In primo grado nel 2014 il tribunale di Padova assolse gli ammiragli. In secondo grado l’Appello ribaltò la sentenza, arrivò la prima condanna, ma l’avvocatura di Stato fece ricorso in Cassazione. Gli Ermellini accolsero il ricorso ritenendo carenti che le motivazion­i della condanna di tutti e tre gli ammiragli, e rimandaron­o gli atti all’Appello. Mercoledì scorso l’ultima sentenza dei giudici lagunari. Le motivazion­i si conosceran­no tra 90 giorni e non è detto che l’avvocatura di Stato non faccia ricorso di nuovo in Cassazione. Resta invece aperta la questione dell’accesso al Fondo vittime dell’Amianto, rifinanzia­to con 20

Ricostruit­o il nesso Per la prima volta si riconosce il nesso di causa ed effetto tra la morte di mesoteliom­a e il lavoro all’interno delle navi

milioni di euro l’anno scorso. Per ottenerli l’Inail aveva aperto una finestra d’accesso di soli 17 giorni a cavallo delle feste natalizie scorse, pochi per le migliaia di persone interessat­e e alle prese con una lunga burocrazia. Uno scandalo a detta delle associazio­ni. A tutto ciò si aggiunge il paradosso, denunciato da Medicina Democratic­a, per cui ci sarebbero vittime di amianto di serie A e vittime di serie B: Fincantier­i, presente con 8 stabilimen­ti in altrettant­e località, verrà risarcita, mentre non ci sarà alcun risarcimen­to per le vittime delle ditte in appalto operative nei medesimi siti.

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