Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
L’uranio impoverito provoca il tumore Dopo 17 anni viene risarcito
Soffre di un tumore alla tiroide dopo essere stato a contatto con l’uranio impoverito durante una missione in Kosovo nel 2006. E sono stati necessari diciassette anni per farsi riconoscere il risarcimento pari a 150 mila euro dal ministero della Difesa, alla luce della sentenza del Consiglio di Stato pubblicata poco tempo fa. «Si tratta di una malattia dalla quale non si guarisce mai e ci si deve convivere», fa sapere l’avvocato Francesco Acerboni di Venezia che, con la collega Stefania Parola di Roma, ha assistito l’ex carabiniere nel secondo grado di giudizio amministrativo. L’appello si è reso necessario dopo che il Tar del Veneto nel 2014 aveva respinto la richiesta di risarcimento.
In pratica, fino a pochi giorni fa, lo Stato non aveva riconosciuto «la dipendenza della malattia da causa di servizio», come riporta la sentenza, costringendo il militare dell’Arma, ora in pensione, a pagarsi da solo per 17 anni tutte le spese mediche. L’ex carabiniere è stato impegnato anche in qualità di infiltrato in Kosovo in operazioni delicatissime contro il traffico illegale di armi gestito dalla criminalità organizzata. È il 2006 quando avverte i primi sintomi di malessere, poi ricondotti al tumore alla tiroide dopo una serie di esami svolti nell’ospedale di un Comune veneto. All’allora quarantaduenne basta poco per capire che quella grave patologia è provocata dal contatto con l’uranio impoverito, «diffusosi nell’ambiente», riporta la sentenza del Consiglio di Stato, «a seguito dei bombardamenti Nato», verificatisi in Kosovo. Ma c’è di più: il militare è convinto di essere stato a contatto con la sostanza nociva anche durante un’altra missione, avvenuta tra il 1996 e il 1997. Scatta l’istanza alla commissione medica ospedaliera con la richiesta della dichiarazione di «dipendenza dalla causa di servizio» della grave patologia. Ci pensa il Comitato di verifica del ministero dell’Economia a trasformare la richiesta dell’ex militare in un lunghissimo incubo giudiziario: il parere è negativo e, nel 2012, il decreto della Difesa chiude la pratica, respingendo l’istanza.
L’ex carabiniere decide così di intraprendere le vie legali, chiamando in giudizio il ministero della Difesa davanti al Tar del Veneto, la cui sentenza, nel 2014, dà di nuovo torto al ricorrente. Scatta l’appello ma saranno necessari poi altri nove anni per avere giustizia: solo a fine 2023, infatti, il Consiglio di Stato riconosce il nesso causale tra la neoplasia alla tiroide e l’attività svolta nelle missioni svolte all’estero. Per i giudici romani, «è doveroso considerare anche la prima missione (oltre a quella del Kosovo) nel verificare se la patologia dell’appellante dipenda da una causa di servizio». Viene bocciata, quindi, la consulenza del perito nominato dal Tar in quanto «non dirimente ai fini della soluzione della controversia».
Si è così deciso in appello per una seconda perizia che ha poi giudicato «altamente
I giudici «Molto probabile che la malattia derivi dalla esposizione alla radioattività durante le missioni in Kosovo»
probabile che il tumore possa essere stato causato dall’esposizione del ricorrente agli effetti tossici, chimici e radioattivi dell’uranio durante le missioni all’estero tra il 1996 e il 1997 e nel 2006 in Kosovo». La conclusione a questo punto appare scontata: «Si deve riconoscere la responsabilità dello Stato per aver esposto l’appellante all’ambiente nocivo senza adottare le opportune cautele». I giudici del Consiglio di Stato gli hanno riconosciuto un danno non patrimoniale pari a poco più di 78 mila euro ai quali vanno ad aggiungersi gli interessi (per un totale, appunto, di 150 mila euro) e le spese legali.