Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Padovano, capo delle contestazioni imputato nel Processo 7 aprile, latitante a Parigi con Toni Negri In un libro la sua esistenza da film
quando il dolore diventava troppo intenso, per la morte di mio fratello, per la prigionia dei compagni o per la fine delle nostre speranze rivoluzionarie».
Un momento difficile del periodo della cosiddetta «strategia della tensione»?
«Le stragi cosiddette di Stato ci riempivano d’orrore e di rabbia. E hanno spinto molti militanti della sinistra extraparlamentare a pensare che le istituzioni italiane fossero definitivamente corrotte e gli spazi politici di contestazione si chiudessero, spingendo alla scelta delle armi per continuare la lotta».
In che rapporti era con Toni Negri?
«Toni Negri era un amico. L’ho incontrato nel 1969 davanti a una fabbrica di Padova dove
"gli operai erano in sciopero. Abbiamo poi condiviso forti esperienze politiche, la militanza in Autonomia Operaia e in Rosso a Milano e molti anni d’esilio a Parigi. Discutevamo di tutto. Le opere teoriche di Toni costituiscono uno dei più importanti contributi al rinnovamento e allo sviluppo del marxismo tra i secoli XX e XXI. Tante le serate e le feste trascorse insieme. Negli ultimi anni della sua malattia siamo stati molti vicini, ho cercato di assisterlo anche come medico».
Come ha vissuto a Padova gli anni di piombo e la lotta armata?
«Su Wikipedia si legge che gli anni di piombo si riferiscono al periodo che va dal 1969 all’inizio degli anni ‘80 e che iniziano dalla strage di Piazza Fontana.
Le mie sfide: cambiare me stesso e la società, vivere, non accontentarmi di sopravvivere Ho sofferto quando mi chiamavano terrorista