Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Ipocrita nascondere le armi sono soldati, non folclore»
«Togliendo il fucile alla raffigurazione degli alpini, li riduciamo solo a una parte di ciò che sono». Lo dice molto nettamente Marco Mondini, professore del dipartimento di scienze politiche giuridiche e studi internazionali dell’Università di Padova.
Professore, cosa pensa della polemica scoppiata a Padova?
«Partirei dalla constatazione più ovvia. Elevare una statua che ricorda il protagonismo civile e militare di un corpo così particolare, unico in Europa, senza raffigurare gli elementi tipici della sua esistenza, come sono anche le armi, sarebbe ipocrita. Le armi sono un simbolo della loro missione storica».
Perché sono unici?
«Sono il primo corpo costituito dopo l’unità d’Italia, nel 1872, i primi soldati veramente italiani, un corpo costituito per proteggere i confini, per difenderli dalle invasioni. Pensiamo all’Italia, ai conti da saldare con Austria e Ungheria. Per farlo, in modo logico, il Regno ha scelto coloro che sanno difendere meglio i confini e le proprie case. Una milizia territoriale. L’acme della storia degli alpini, cittadini-soldati, è stato non quando hanno dovuto obbedire agli ordini, ma quando hanno scelto, come dopo Caporetto e l’8 Settembre. Sono rimasti per difendere la loro terra, la loro idea di Italia».
Gli alpini oggi però sono molto diversi da quelli, armati, che difendevano i confini.
«Hanno una straordinaria capacità di reinventarsi, di capire il momento storico in cui vivono».
Quindi quel fucile ne completa la raffigurazione?
«Hanno imbracciato le armi quando lo Stato l’ha chiesto, come parte del patto di cittadinanza, di legame con la comunità. È un ottimo motivo per raffigurare un alpino con il fucile. Un soldato deve essere pronto a usare le armi. A meno che non si voglia ridurli a un oggetto di folclore. E un monumento porta un messaggio simbolico che evoca, ricorda e ammonisce». (s.ma.)