Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
Novemila effettivi in un Corpo hi-tech
Professionisti, prima ancora di essere donne e uomini. Pronti, come è già successo, a missioni in scenari di alta conflittualità. A vent’anni dalla sospensione del servizio militare obbligatorio gli Alpini sono cambiati. Mutati i volti, i numeri, i compiti.
Quando nel settembre nel 2022 il tenente colonnello Monica Segat assunse il comando del battaglione «L’Aquila» la nomina sintetizzò nel curriculum il cambiamento: Accademia militare di Modena (le donne furono ammesse solo nel 2000), sette mesi in missione in Afghanistan, incarichi allo Stato Maggiore dell’Esercito a Roma.
Domenica sfileranno gli ultimi figli della leva, sospesa nel 2004. La maggior parte sono le vestigia di un Corpo composto da cinque brigate corrispondenti alle Regioni settentrionali nelle quali reclutavano (da est a ovest: Julia, Cadore, Tridentina, Orobica, Taurinense) e una Scuola militare alpina (la Smalp, ad Aosta,
Le provenienze Più dell’80 per cento degli Alpini giunge dal centro, meridione e isole del Paese. Negli anni, spinti dall’Ana e dalla collaborazione con i vertici dell’Esercito, alcuni aspetti dei concorsi sono mutati anche nel tentativo di mantenere ancorate le radici del Corpo ai bacini geografici tradizionali
rinominata Centro di addestramento alpino). La fine della guerra fredda e l’inutilità economica e strategica di mantenere grandi unità provocò un taglio dei reparti (prima fu sciolta l’Orobica nel 1991, la Cadore nel 1997, la Tridentina nel 2002) e le proteste dall’Associazione nazionale alpini. La più plateale accadde nel 1997: durante l’adunata nazionale a Reggio Emilia alcune sezioni sfilarono con il cappello appoggiato al petto in segno di «lutto» e altre ammainarono il tricolore transitando sotto gli occhi del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. «Non ci decimò il nemico ma i politici» si lesse in uno striscione. Oggi le brigate sono due, Julia e Taurinense, e sono cosiddette pluriarma (ci sono anche reparti di cavalleria): in tutto, contando il Comando e il Centro di addestramento, sono circa 9 mila effettivi.
Dalla sospensione della leva e del rito di passaggio che ha rappresentato per generazioni è mutato tutto anche al di fuori dell’Esercito, considerato che sono spariti anche gli obiettori di coscienza che garantivano servizi negli enti pubblici. I cambiamenti più radicali sono però nell’accesso solo per concorso, nella presenza delle donne (scelta che deriva dall’allineare l’Italia agli altri Paesi Nato) e nella provenienza geografica. Mediamente più dell’80 per cento degli Alpini giunge dal centro, meridione e isole del Paese. All’inizio del professionismo la percentuale era più alta. Dagli inizi degli anni Novanta sono state varate più riforme dell’Esercito che hanno risolto alcuni problemi lasciandone altri insoluti. Tra questi rientrano le caserme dismesse, diventate patrimonio alienabile delle Stato ma in molti casi ancora oggi abbandonate. Un patrimonio notevole. La brigata Cadore che reclutava soprattutto in Veneto al massimo della sua