Corriere del Veneto (Venezia e Mestre)
«Hollywood e creatività minacciati da brand e IA»
Camon: «Nessuno investe snupdrodotti originali, funzionano i marchi»
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Gli anni di formazione a Padova, con una Laurea in Filosofia, poi il cinema in America, dove da produttore esecutivo ha firmato film come Il corvo 2 di Tim Popeo American Psycho di Mary Harrone, mentre da sceneggiatore ha scritto a quattro mani con Oren Moverman, Oltre le regole - The Messenger e The Listener, che nel 2022 è diventato un film di Steve Buscemi con Tessa Thompson. Oggi Alessandro Camon, 60 anni, è uno sceneggiatore e produttore affermato nella Hollywood che fatica a riprendersi dal lungo sciopero degli sceneggiatori prima e degli attori poi.
Camon com’è la ripresa a Hollywood?
«È ancora abbastanza lenta. L’attività non è completamente ripartita, le produzioni sono molte meno sia per il cinema che per la televisione, c’è un clima un po’ di ansia e di attesa. Tutto il sistema è cambiato molto. C’è grande ansia per l’avvento dell’intelligenza artificiale, che era uno dei motivi dello sciopero sia per gli sceneggiatori che per gli attori. I sindacati hanno ottenuto misure protettive significativa, ma non complete. Una volta che la tecnologia sarà veramente matura, non c’è dubbio che sostituirà alcune categorie di lavoro. Se si è in grado di fare film con set completamente artificiali, con comparse generate artificialmente, non c’è dubbio che Hollywwod lo farà, se può abbattere i costi».
Com’è il suo presente lavorativo?
«Nella sceneggiatura si è molto ridotto il campo dello sviluppo. Tradizionalmente gli studios sviluppano dei film e commissionano alcune sceneggiature. Da tutti questi progetti decidono poi di fare questo o quel film, con la proporzione di uno realizzato ogni 20/30 sviluppati. Questo dà da vivere agli sceneggiatori. Ora la dimensione dello sviluppo quasi non esiste più e lo sceneggiatore deve rischiare in proprio e scrivere una sceneggiatura senza essere pagato in anticipo. Dev’essere imprenditore di sé stesso: cercare un attore, un produttore, e in generale fare un po’ tutto tu».
Anche lei fa così?
«Io scrivo sempre e mi reputo abbastanza fortunato perché lavoro da un po’ di tempo. Ho fatto alcune cose che sono state accolte bene e vengo ancora assunto, però anche io cerco di fare cose mie. Per esempio ho fatto spettacoli teatrali che poi possono diventare film. Ho scritto dei film che ho fatto per conto mio senza commissione tenendoli a basso budget per essere sicuro che sarebbero stati prodotti. The listener, che aveva debuttato a Venezia nel 2022, è uscito alla fine di marzo in America. Quello è un film che avevo scritto pensando: c’è un solo attore, sarà attraente per l’attore e sarà molto economico da produrre».
Ha affrontato la serialità?
«Sto scrivendo due o tre progetti televisivi. Uno è legato al mondo del calcio e in particolare al business, non tanto al calcio giocato, ma al mondo degli affari intorno allo sport. Il calcio è uno dei business piu importanti al mondo, tra oligarchi russi e Arabia Saudita muove miliardi e miliardi. Poi una serie che si intitola Backstage show e che sto scrivendo per Will Smith, che è anche produttore. E un’altra è una serie sulla polizia a Los Angeles, in particolare su una serie di episodi di violenza legati a fatti di cronaca in cui è coinvolta la polizia, il Dipartimento degli sceriffi. Questa sarà prodotta dal gruppo editoriale Condé Nast».
Com’è cambiata la creatività in questi anni?
«Il cinema è sempre stato legato ad altri media. Fin dall’inizio si è nutrito di teatro e di letteratura, fin dai tempi di George Méliès, che aveva adattato Cenerentola e Dalla terra alla luna e poi tutti i classici, come Orgoglio e pregiudizio . Il ciclo era: letteratura, cinema, televisione, internet. Quello che è cambiato negli ultimi venti anni è che quasi tutto ora deve essere basato su un “IP”, Intellectual property. Non si tratta piu solo dell’opera: può voler dire una canzone, un podcast, una bambola come Barbie: tutto dev’essere un marchio preesistente, e da lì parte il film, il lavoro televisivo. Si è molto ridotto lo spazio per l’originalità e quasi tutto viene derivato da un film estero o da una serie televisiva israeliana o scandinava o addirittura una cosa che non è nemmeno letteraria, come un videogame».
Perché?
«Perché c’è già il brand, c’è già il marchio e dunque c’è già la consapevolezza da parte del pubblico: non devi spendere soldi per informarlo. Tutti hanno la Barbie».
C’è comunque posto per l’originalità?
«Si può trovare una propria strada per l’espressione, perché Barbie, per esempio, è molto creativo, ma cambia il modo di lavorare. Se l’idea p tua, ti senti libero nella fantasia. Se devi adattare Barbie, devi rispondere a Mattel, hai tutti gli strati di management che supervisionano il progetto: è un modo diverso di lavorare che non fa bene al cinema. Anche se Barbie è un bel film, se tu strangoli l’originalità ti ritrovi con un’arte morta.
"Sto scrivendo due o tre progetti televisivi, uno per Will Smith
È stata un’annata ricca per il cinema. Cosa ci aspetta?
«È possibile che quella che arriva non sia un granché, ma parliamo di un’industria che non è completamente prevedibile, non è come produrre scarpe».