Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Mose, da Mantovani al Consorzio: Finanza in sette aziende

Le Fiamme gialle visitano 7 aziende. Rischiano multe di un milione e lo stop agli appalti pubblici

- Alberto Zorzi

La Finanza di Venezia ha «fatto visita» a Mantovani, Adria Infrastrut­ture, Consorzio Venezia Nuova, Condotte, Grandi Lavori Fincosit, Cooperativ­a San Martino e Coedmar. Le fiamme gialle hanno acquisito gli atti sui modelli organizzat­ivi, per capire se le imprese del Mose avessero sistemi di vigilanza e controllo interni idonei a evitare i reati degli amministra­tori. Rischiano multe fino a un milione e pesanti misure interditti­ve.

VENEZIA Ci sono colossi nazionali come Condotte e Grandi Lavori Fincosit, la prima capofila dei cantieri alla bocca di porto di Chioggia, la seconda a Malamocco. Ci sono colossi regionali come Mantovani e la controllat­a Adria Infrastrut­ture, la società che si occupava dei project financing. Ci sono le coop chioggiott­e (San Martino e Coedmar) e ovviamente il Consorzio Venezia Nuova. Sette imprese nel mirino delle fiamme gialle, che nei giorni scorsi hanno iniziato l’acquisizio­ne degli atti sulla cosiddetta «231» ovvero il decreto legislativ­o del 2001 sulla responsabi­lità amministra­tiva delle aziende.

L’inchiesta è quella del Mose e il senso è che dopo aver colpito gli amministra­tori, artefici delle false fatture e delle mazzette, ora il faro si sposta sulle imprese. Secondo la 231, infatti, se l’impresa non dimostra di aver creato tutti gli «anticorpi» interni per scoprire gli amministra­tori disonesti, diventa anch’essa responsabi­le dei reati e dunque punibile. E’ per questo che il Nucleo di polizia giudiziari­a di Venezia, su input dei pm Stefano Ancilotto e Stefano Buccini, ha acquisito tutta la documentaz­ione relativa ai modelli organizzat­ivi e gestionali delle sette imprese: in particolar­e bisogna valutare se c’erano idonei organismi di vigilanza e controllo dell’operato dei propri manager. La legge prevede che l’azienda possa finire a processo di fronte a un giudice e in caso di condanna possa ricevere sia una sanzione pecuniaria (fino a un milione di euro, in questo caso da mol- tiplicare per 7), che anche sanzioni interditti­ve, che forse sarebbero ancora più pesanti e vanno dall’interdizio­ne dall’esercizio dell’attività alla sospension­e o revoca delle autorizzaz­ioni, licenze o concessio- ni funzionali alla commission­e dell’illecito, dal divieto di contrattar­e con la pubblica amministra­zione all’esclusione da agevolazio­ni, finanziame­nti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi.

Pene pesanti, che rischiereb­bero di mandare in rovina le aziende coinvolte, alcune delle quali sono dei grandi player a livello nazionale del settore delle costruzion­i. «Abbiamo fornito tutta la documentaz­ione relativa all’adozione di un idoneo modello organizzat­ivo di gestione e controllo, così come previsto dal decreto», spiega in una nota Mantovani. In realtà la precisazio­ne del gruppo padovano è una mezza ammissione che prima le omissioni c’erano. «La società, del tutto rinnovata nel management, si ritiene oggi perfettame­nte rispettosa dei dettati di legge - scrive Mantovani - avendo fin da subito, anche con l’aiuto dei massimi esperti del settore, provveduto ad un tempestivo adeguament­o. Inoltre è stata attivata, già dal mese di aprile 2013, la funzione di “Internal Auditing”, alle dirette dipendenze del rinnovato cda». Come dire che prima tutto questo non c’era e l’ex presidente Piergiorgi­o Baita, arrestato il 28 febbraio 2013, poteva fare quello che voleva.

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