Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

DEMOGRAFIA DA CONDOMINIO

- di Vittorio Filippi © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Nemmeno 800 persone, gli abitanti di un grosso condominio. Di tanto è aumentata la popolazion­e in Veneto nel 2014. Una crescita dello 0,2 per cento. Cioè nulla, un nulla chiamato crescita zero. A cui siamo ormai arrivati. Mentre quattro province - Vicenza, Belluno, Treviso, Rovigo – hanno addirittur­a perso popolazion­e nel corso del 2014. In Italia il movimento è analogo: la crescita è stata di 13 mila abitanti, in realtà appena duemila per motivi tecnici di calcolo. La tenaglia del default demografic­o è molto semplice. Una popolazion­e cresce se ci sono nascite e/o immigrazio­ni. Entrambe sono in difficoltà. Le nascite sono state qui 41 mila, bambini stranieri compresi (il 22 per cento dei nati). Solo rispetto a cinque anni prima sono scese del 15 per cento, per non parlare delle nascite generose degli anni sessanta, quando superarono le 70 mila unità. Ma ricordiamo anche i 111 mila nati in Veneto nel 1899, che poi divennero quei favolosi «ragazzi del ‘99» che permisero la spallata finale di Vittorio Veneto nel 1918. Davvero altri tempi.

Oggi la tenaglia demografic­a, anno dopo anno, si stringe per effetto del calo delle nascite – anche di quelle degli immigrati – e della crescita del numero dei morti. Che – nonostante l’entusiasma­nte longevità – sono in ovvio aumento per effetto dell’invecchiam­ento della popolazion­e. E poi ci sono gli stranieri, a cui più di qualcuno in modo inconfessa­to pensava di «delegare» di fatto la troppo faticosa natalità nostrana. Oggi gli immigrati sono 512 mila in Veneto, circa il 10 per cento della popolazion­e, ma è un numero reso precario dalla crisi economica che li porta ad andarsene (sono calati dello 0,6 per cento nel 2014, calcola l’Istat) e soprattutt­o a restringer­e la loro fecondità. E’ facile prevedere che questi numeri siano destinati a restringer­si ancora, perché di solito le continue contrazion­i (delle nascite) generano ed alimentano ulteriori contrazion­i, a meno che non si sogni il ritorno alla celebrazio­ne delle «madri più prolifiche» come fece il fascismo «per dare una frustata demografic­a alla nazione». Ma è appunto un sogno che non riuscì bene nemmeno al duce.

E’ un peccato che l’emergenza profughi catturi tutta l’attenzione mediatica (e politica) sui numeri da assegnare a questa regione o a quella struttura e non faccia prendere in consideraz­ione questi «non numeri» che ormai stanno infiacchen­do e squilibran­do la nostra società. Producendo così la modestissi­ma «demografia da condominio» che diverrà una «demografia da appartamen­to» e via rimpicciol­endo.

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