Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
LEGITTIMA DIFESA: GIUSTIZIA E GIUDIZIO DEL POPOLO
Come ha acutamente osservato Glauco Giostra, ogni collettività democratica ha bisogno di credere nella sua giustizia. Si potrebbe arrivare a dire che la fiducia dei cittadini nella giustizia è non meno importante di come essa viene effettivamente amministrata.
Tal e f i ducia deve t rovare fondamento nelle regole di cui la società stessa si dota, che prevedono la necessità di condividere il percorso attraverso il quale giungere ad un risultato socialmente irrinunciabile: l’accettazione della decisione del giudice.
Infatti, la giurisdizione opera come vero e proprio collante culturale in una società democratica che in termini elementari può essere cosi tradotto: il potere politico fissa le regole della convivenza; il potere giudiziario applica quelle regole; il popolo se insoddisfatto, cambia per il tramite dei propri rappresentanti quelle regole o, più radicalmente, cambia i propri rappresentanti. Questo è il circuito virtuoso di una democrazia.
L’opportunità che tale circuito virtuoso non sia messo in discussione pena la tenuta stessa del sistema democratico, trova ragione nella incapacità della societa civile di auto regolamentarsi e di dotarsi obbligatoriamente, per non degenerare in un perenne
conflitto tra interessi aggregativi diversi e incompatibili, della organizzazione politica e delle regole che essa detta per l’intera comunità.
Tra le regole che la società politica deve necessariamente dare alla società civile vi è anche quello dell’esistenza un percorso condiviso al termine del quale riconoscere la funzione rappresentata dal giudice nel contesto sociale e cioè, in altri termini, l’accettazione della sua decisione. Che, certamente, può non essere condivisa, ma che è il frutto della regola che la società democraticamente si è data e che prevede per l’appunto che sia attribuita ad un soggetto la funzione e la responsabilità della decisione. Certamente, altresì, può non essere condivisa la norma che il giudice applica: ma ad essa deve pensare la politica e a quest’ultima i cittadini devono rivolgersi.
Un’ultima annotazione. V’e’ da chiedersi quanti tra coloro che si sono lasciati andare a c o mment i , t a l vo l t a a n c h e scomposti, abbiano letto le carte processuali sulle quali ha deciso il giudice di Padova sul caso «Birolo». Alla domanda retorica e alla risposta evidente mente negati va , s e gue l a considerazione che grande appare il rischio che il giudizio del popolo sia non su come la giustizia è effettivamente amministrata ma, diversamente, abbia ad oggetto come essa è rappresentata dai mezzi di informazione. Questa deviazione porta inesorabilmente – tra gli altri effetti patologici – all’insidiosa idea che il miglior giudice sia l’opinione pubblica. Questa ne evoca un’altra: il sogno della democrazia diretta, quello della gestione diretta dei cittadini della cosa pubblica. Recuperiamo dunque il senso profondo delle diverse funzioni nella nostra società: l’accettazione dei responsi decisionali emessi al termine di un procedimento condiviso, consente di raggiungere un risultato socialmente irrinunciabile, e cioè sempre per citare Glauco Giostra, all’assorbimento dei rischi di radicalizzazione e di aggregazione del dissenso. In altri termini, a scongiurare un rischio che nell’attuale congiuntura storica appare dietro l’angolo e del quale non tutti paiono rendersi conto, quello derivante dalla mancanza del rispetto delle funzioni da ciascuno ricoperte nella comunità. Tale deriva può portare ad una sola strada: l’affermazione del caos sociale. è un romanzo di Jean-Claude Izzo, Il s o l e d e i more n t i , pubblicato da e/o, dove a un certo punto si legge: «Si alzò a fatica, trascinandosi fino alla fine del binario. Sgusciò dietro la fila di sedili di plastica, si sdraiò su un fianco, il viso verso il muro, poi si tirò il bavero del cappotto sulla testa e chiuse gli occhi. L’inverno che aveva dentro se lo portò via». Basta sostituire sedili di plastica con panchina e muro con siepe, Parigi diventa Venezia, la metropolitana si trasforma nei Giardini di Castello, ma l’inverno è lo stesso e questa volta si è portato via Jesus Angel de Prada Alonso, un nome che non accosteresti mai a un clochard. È morto di freddo il 27 gennaio, giornata della Memoria, in quelle coincidenze che la vita sa raccont a r e megl i o d i q u a l u n q u e scrittore, perché anche i clochard, durante la guerra, finivano nei campi di sterminio nazisti.
Quella mattina in tanti siamo passati accanto alla panc hi na, a quel gi aci gl i o i mp r ov v i s a to , d i c e n d o a n o i stessi che sì, dài, stava dormendo, che – sì dài, ovviamente – stava smaltendo la sbronza della sera prima. Così come facciamo per i migranti, evitiamo di chiederci o di immaginarci le loro vite, quali esistenze li abbiano condotti a scelte estreme. Racchiuderli in un’entità astratta, generica, ci rassicura, ci consola, ci assolve. Ora, col senno di poi, ora che conosciamo il suo nome, che ci siamo passati accanto come se nulla fosse, la vergogna ci assale. Ma è una vergogna a tempo, con data di scadenza immediata. Poche ore, o forse solo il tempo di scrivere queste righe e di leggerle, e già non ci ricorderemo più di lui, sarà solo una vaga immagine, che continueremo a tenere ai margini della