Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Pfas, controlli pozzo per pozzo Vertice tra Regione e agricoltori, spunta l’idea di deviare un canale per ripulire le acque
Palazzo Balbi ordina monitoraggi capillari ma per ora l’approvvigionamento resta libero
VENEZIA Vertice in Regione sull’emergenza Pfas tra gli assessori all’Agricoltura, all’Ambiente e alla Sanità e le associazioni degli agricoltori e degli allevatori, preoccupati dall’ipotizzato divieto di utilizzo dell’acqua di falda che li metterebbe in ginocchio. Tre le soluzioni ipotizzate, tra cui la deviazione di un canale proveniente dall’Adige, ma si attendono i risultati delle analisi che Arpav condurrà pozzo per pozzo. Fino ad allora, tutto resta così com’è: libero.
VENEZIA Per ripulire i pozzi stanno pensando perfino di deviare un canale. Come fosse un’ enorme canna d’ acqua lasciata in mezzo a un giardino, dovrebbe lavar via le Pfas che hanno contaminato le falde o, quanto meno, diluirle al punto da renderle innocue. «Si tratta di una diramazione dell’Adige che scende dal Vicentino verso il Padovano, gestita dal Consorzio Lessino Euganeo Ber i co-spiega l’ assessore all’ Agricoltura Giuseppe Pan -. L’intervento, di cui al momento non conosciamo i costi, si potrebbe fare piuttosto velocemente, basterebbero alcuni by-pass». In alternativa, durante l’incontro di ieri a Palazzo Balbi tra la Regione e le rappresentanze degli agricoltori (Coldiretti, Confagricoltura, Cia e Anpa) è stata valutata l’ipotesi di variare l’altezza dei pozzi, così da intercettare le falde pulite («Si potrebbe scendere dall’attuale profondità media di 80 metri a quella di 120 metri, a cui pescano in sicurezza le industrie dell’acqua minerale» dice Pan). Terza soluzione abbozzata, l’apposizione di filtri a carbone attivo, sulla scia di quanto si fa dal 2014 per l’acquedotto a servizio delle abitazioni (costo 2,8 milioni di euro, scaricato sulle bollette degli utenti). Su pressione di agricoltori e allevatori, è stata invece scartata senza appello l’ipotesi di collegare le aziende alla rete idrica: considerando che un allevamento impiega circa 30 mila litri di acqua al giorno, i costi sarebbero esorbitanti e si correrebbe il rischio di lasciare a secco le famiglie.
Tutto, in ogni caso, è rimandato a quando Arpav avrà in mano le analisi dei pozzi (se negative, ovviamente, il problema non si pone), analisi che saranno realizzate a prezzo convenzionato dopo che gli imprenditori avranno comunicato all’Agenzia numero e localizzazione delle imprese che pescano direttamente dalle falde. Fino ad allora, «ci vorrà un mese» ipotizza l’assessore alla Sanità Luca Coletto, si va avanti come nulla fosse: «Stiamo affrontando il problema insieme al territorio - dice Pan - con la massima prudenza ma anche con la consapevolezza che per le acque sotterranee, ad oggi, non esistono limiti di legge. Aspettiamo che ci facciano sapere di più dal ministero dell’Ambiente e dall’Istituto superiore di sanità». Una cautela condivisa dal presidente di Coldiretti Martino Cerantola, che se la prende con i medici: «Sostengono tutto e il contrario di tutto e non si rendono conto della gravità di quel che dicono, dei danni che provocano con il loro allarmismo. Faremo tutte le analisi necessarie ma sia chiaro, il prodotto veneto è un prodotto sano e di qualità. Gli stessi controlli, con la stessa meticolosità, si fanno anche sui prodotti importati dall’estero?». Gli imprenditori agricoli hanno apprezzato la disponibilità di Regione e Arpav («Ci hanno assicurato una corsia preferenziale») ma chiedono che si faccia in fretta perché il danno d’immagine rischia di sommarsi alla crisi già imperante nel settore. «C’è grande preoccupazione - racconta il presidente di Confagricoltura, Lorenzo Nicoli - e certo è una vicenda complicata, non si trovano neppure i responsabili dell’inquinamento ...».
Nonostante Arpav identifichi chiaramente nel suo dossier la Miteni di Trissino come il focolaio degli sversamenti, in Regione c’è infatti parecchia cautela al riguardo, si ricorda che nell’area lavorano molte concerie e che comunque finora non ci sono stati limiti da rispettare sulle Pfas e se non ci sono limiti è difficile punire chi non li rispetta. «Nei loro confronti siamo intervenuti già nel 2014, con la revisione dell’autorizzazione integrata ambientale e nuovi vincoli-ricorda l’ assessore all’Ambiente Gianpaolo Bo ttac in-è stata prevista una barriera idraulica con 8 pozzi, l’ obbligo di mandare in depuratore l’acqua di processo e ora abbiamo chiesto a Miteni di rispettare i limiti dell’acqua potabile». Fin qui, la messa in sicurezza. Per il repulisti della falda, però, ci vorrà molto più tempo :« È un’ operazione complessa, ci deve dare una mano il ministero» allarga le braccia Bottacin. Complessa fino a che punto? Potrebbero aiutare dei carotaggi sotto lo stabilimento ma non si sa bene chi li debba ordinare: l’Arpav? La procura di Vicenza?
Chi non teme di puntare il dito contro la Miteni è il Movimento Cinque Stelle, che chiede una commissione d’inchiesta in consiglio regionale e con Patrizia Bartelle va giù piatto: «Quali azioni stiamo intraprendendo contro questa azienda, individuata come l’origine di un vero e proprio disastro ambientale? Chi metterà i sigilli alla Miteni? Credo tocchi alla magistratura. Ma poi chi pagherà le bonifiche?». Il consiglio, peraltro, ha approvato ieri all’unanimità una risoluzione in cinque punti, che impegna la giunta: a garantire la tutela legale alla popolazione e valutare possibili azioni di risarcimento; a estendere i controlli ai territori contermini a quelli interessati; ad attivarsi presso il Governo per finanziare diverse soluzioni di approvvigionamento idrico; di inserire la popolazione esposta alle Pfas nel Registro Tumori; di vietare l’emissione e la distribuzione di fanghi contaminati.
Mozione bipartisan Il consiglio chiede alla giunta di garantire la tutela legale alla popolazione coinvolta