Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

A processo dopo 22 anni: «Non ho ucciso mia madre»

Parla Katia Montanaro: «Mia figlia mi ha cambiata»

- di Andrea Pasqualett­o

Katia Montanaro, imputata con la sorella per l’omicidio della madre dopo 22 anni. «Non l’ho uccisa».

VICENZA Katia la gatta nera, Katia la sbandata, Katia che odia la madre e organizza il delitto. Eccola la terribile Katia, vent’anni dopo. É una signora dall’aria tranquilla, commessa in una cittadina della Val Pusteria, testimone di Geova e mamma di una ragazza di diciannove anni che, dice lei, le ha cambiato la vita: «Grazie alla sua nascita e alle responsabi­lità di madre che mi sentivo addosso. Ho chiuso con le brutte compagnie, con la droga, con quel periodo disastroso vissuto dopo la morte di mia madre…».

Katia Montanaro ha oggi 41 anni e dovrà affrontare un processo che la vede sul banco degli imputati con altri tre: la sorella maggiore Cristina, l’ex fidanzato di quest’ultima Salvador Versaci e un’amica, Marika Cozzula. Sono accusate di aver commesso l’omicidio di Maria Armando, sua madre, nella casa di San Bonifacio: 23 febbraio 1994, 21 coltellate. Lei non ha mai voluto parlare, mai si è fatta riprendere, intervista­re. Un silenzio che ha contribuit­o ad alimentare un’idea molto sinistra, appunto di gatta nera, di ragazza malvagia, peraltro mai certificat­a dagli inquirenti. Ma a vederla, a parlarci e a leggere la corrispond­enza dell’epoca con la madre, non sembra proprio così. Emerge un’altra Katia: timida, educata, forse succube della sorella maggiore, un tempo punkabesti­a e ribelle. La incontriam­o a Vicenza, nello studio dei suoi avvocati, Cesare Dal Maso e Riccardo Todesco, dove si presenta con un’amica, responsabi­le dei Testimoni di Geova della sua zona.

Signora Montanaro, lei è accusata di essere l’ideatrice del delitto...

«Sono innocente e sono sconcertat­a per come si stanno mettendo le cose».

Per 20 anni silenzio assoluto su quel delitto. Poi la sua amica Alessandra Cusin, in un’ intercetta­zione ambientale, lo confessa al fidanzato che era intercetta­to, coinvolgen­do lei e i tre imputati. Una clamorosa svolta a questo caso irrisolto . Cosa ne pensa?

«Da quando Alessandra ha detto quelle stupidaggi­ni, e l’ha fatto come lei stessa dice solo per vantarsi con il suo fidanzato, ho iniziato a vivere una doppia vita. La mia, in Alto Adige, con mia figlia, la pace e la tranquilli­tà di un ambiente tipicament­e tedesco dove non sanno nulla del mio processo; e questa parallela con tutto quello che sta succedendo. All’inizio non ho neppure reagito perché pensavo che si sarebbe capito che erano assurdità. Poi la cosa è diventata seria e allora ne ho parlato con mia figlia, con il mio datore di lavoro... E adesso sono qui a dovermi difendere da un’accusa terribile. Non ho ucciso mia madre e non avrei potuto farlo per una semplice ragione: con lei avevo un ottimo rapporto. Io ero la piccola di casa, quella mansueta, quella casalinga. Ho accettato di vivere con il compagno di mia madre, anche se non mi piaceva. L’ho fatto per lei, perché non mi sembrava giusto andarmene di casa, come invece ha fatto mia sorella che era più indipenden­te». Ma perché Cusin dovrebbe inventarsi una simile accusa?

«Bella domanda: non lo so. Inizialmen­te l’ha detto al suo ragazzo per convincerl­o che anche lei era capace di azioni criminali. Dovevano fare insieme una rapina agli zii, forse volevano ucciderli. Poi l’ha negato davanti al magistrato e l’anno scorso ha cambiato ancora versione dei fatti confermand­o i contenuti dell’intercetta­zione, salvo però negare ogni sua responsabi­lità. Comodo così:

cercava di salvare se stessa accusando gli altrui, per evitare il suo ergastolo che stava diventando definitivo. Voglio dire: non è stata la classica confession­e, con lei che si reca dai carabinier­i a parlare. Lei parla con il fidanzato per vantarsi e si è inventata questa storia tirandosen­e fuori».

Il movente sarebbe l’eredità, voi vi sareste prese la casa...

«Con la morte di mia madre non ci ho guadagnato nulla: a livello materiale e a livello emotivo. L’eredità era un appartamen­tino con mutuo, intestato a noi tre. Mia madre voleva liquidare mia sorella per andare a vivere con il suo compagno, Biasin. Mi aveva detto: liquidiamo la Katia e tu ti prendi una casa lì vicino. Era un progetto favorevole a me. Voglio dire, anche a vedere il movente da questo punto di vista io ci avrei perso».

E a livello emotivo?

«Ho perso una persona a cui volevo un gran bene e che mi riempiva la vita. Io e lei facevamo giornate intere a guardarci film a casa. Era appena stata a San Marino e voleva tornarci con me: aveva sempre un pensiero buono nei miei confronti. Due settimane prima dell’omicidio eravamo a casa a scegliere i vestiti di carnevale».

Lei ha vissuto una vita dissoluta da ragazza. Si diceva che avesse il mito di Pietro Maso, la gatta nera, la droga...

«È tutto sbagliato. Io sono sempre stata una brava ragazza. Ho iniziato a lavorare a 14 anni e mia madre mi accompagna­va tutti i giorni in fabbrica. Poi, dopo l’omicidio, per me le cose sono cambiate e lì sì ho vissuto un brutto periodo. Perché ero rimasta sola e non ero accettata dai miei parenti che mi hanno messo alla porta. Nel

frattempo la casa del delitto era stata dissequest­rata. É lì che ho conosciuto Alessandra perché non volevo andare a viverci da sola. Fra di noi è nata un’amicizia che si è così trasformat­a in convivenza a casa mia, dove sono iniziati tutti i guai. Perché lei aveva certi amici e io ero debole di carattere e non mi sentivo amata da nessuno. Mi sono lasciata coinvolger­e. Ho iniziato a bere e ad avere una vita immorale. É arrivata la droga, solo leggera però. Sono stati mesi bui. Poi mia figlia mi cambiato vita». Ha un’idea su chi sia l’assassino? «Sì». Ce la dice? «No».

Sua sorella Cristina e gli amici sarebbero gli esecutori materiali, lei la mandante. Non ha mai avuto dubbi su Cristina? «Sì, li ho avuti. Ma ora non ne ho più».

Se scoprisse che è stata davvero Cristina con il suo fidanzato?

«Se fosse questa la verità penso che dovrebbe pagare. Ma non è andata così».

Katia ci mostra una lettera che dette a sua madre prima del delitto, per far capire che non la odiava. Ecco la sintesi:

«Cara mamma, quando leggerai questa lettera ti chiederai come mai ti parlo del papà. Perché tu dici sempre che sono uguale a lui e così e come se ti parlassi di me. Tu hai sempre descritto il papà come un uomo pieno di difetti, e io non nego che sia così, ma aveva anche moltissimi pregi, che forse con te non riusciva ad esternare. Ad esempio avevamo sempre una visione ottimista della vita… Io e lui sappiamo fare bene anche un’altra cosa: volere bene a qualcuno. Chiunque si fosse dimostrato in qualche modo gentile con noi veniva ricambiato tre volte tanto e avrebbe avuto un posto speciale nel nostro cuore... Spero che tu sia fiera di dove sei arrivata con te stessa e con noi che abbiamo occupato gran parte della tua vita. Forse non siamo le figlie che avresti voluto, ma io credo che hai fatto il possibile perché venissimo su con le nostre idee ed io sono felice di dove sono arrivata perché volevo essere così e perché sono io. Ti voglio bene. Katia».

Sospira e se ne va.

Il dramma Dopo l’omicidio, ero rimasta sola . Mi sono lasciata coinvolger­e da Alessandra, ho iniziato a bere e ad avere una vita immorale. É arrivata la droga... Pusteria Katia vive in Pusteria e ha una figlia

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 ??  ?? Ha 41 anni Katia Montanaro oggi, tra i suoi avvocati Cesare Dal Maso e Riccardo Todesco, vive in Val Pusteria
Ha 41 anni Katia Montanaro oggi, tra i suoi avvocati Cesare Dal Maso e Riccardo Todesco, vive in Val Pusteria

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