Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Natalia, a Padova da Chernobyl «Io ho un futuro»
È arrivata in Veneto a 13 anni, ospite di una famiglia vicentina. Natalia, trai tanti bambini in fuga da Chernobyl per la salute, ora ha famiglia a Padova. Trent’anni fa la nube nucleare: «Ho avuto il futuro».
PADOVA «Ricordo poco di Chernobyl, perché ero piccola. Ci davano le vitamine, questo lo ricordo. Poi che hanno mandato al mare, mandavano i bambini e i ragazzi al mare... Sul Mar Nero, sì. Poi ricordo che le donne incinte sceglievano di abortire…».
Natalia Bevilacqua ha sei anni quando l’Ucraina, l’Europa e l’Italia conoscono la propria Hiroshima. L’una e 23 minuti del 26 aprile ’86. Lo spettro dell’olocausto nucleare entra nelle case dei veneti a notte fonda. Porta un nome mai sentito, di una piccola città 120 chilometri a nord di Kiev, Ucraina: Chernobyl. Incendio al reattore nucleare numero 4 della locale centrale, nube radioattiva che invade l’atmosfera. Da Ucraina e Bielorussia (da Cernobyl al confine sono tre ore a piedi) la nuvola di morte cala sull’Europa. Porta paura, subìto. Poi porterà uomini e donne. Adulti, bambini più che altro. Verranno qui ad «ossigenare» il sangue, a curarsi, a vivere. Natalia è una di quei bambini. Natalia, quando ha visto il Veneto per la prima volta?
«Sono arrivata in Italia a 13 anni. Sono stata ospite di una famiglia di Camisano, nel Vicentino». Di quel primo periodo cosa ricorda?
«Dopo la fuga radioattiva da Chernobyl hanno cominciato a mandare all’estero noi bambini. Mi ricordo di tanta frutta e del mare, che vedevo solo d’estate». Intende il mare di qui, del Veneto? «Sì. C’era una convenzione particolare, per cui andavamo a
Rosolina e Sottomarina, al Lido dei carabinieri. Ha presente?»
Significa qualcosa per lei questo anniversario, questo trentennale?
«Per me è una tragedia, perché lì (in Ucraina e Bielorussia, ndr) i bambini continuano ad ammalarsi di tumore e non fanno niente per loro. La percentuale di malattie oncologiche è ancora altissima. Continuano a chiedere aiuti per i bambini che si ammalano, a mandarli in altri Paesi per farli operare...».
Dopo il primo periodo di ospitalità ha trovato nel Veneto una nuova casa, ha marito di qui, qui vivono la sua famiglia, i suoi figli. Questa terra le ha cambiato la vita: si può dire? «La mia vita è cambiata perché qui ho avuto la possibilità di un futuro. Venire qui è cambiare, e molto, perché i bambini orfani come me vedono la vita normale...».
Cosa intende per normale? La vita familiare o si riferisce al benessere?
«C’è un po’ più benessere, la gente è più rilassata e divertente, non è sotto il peso della povertà. Dove sono nata o sei povero o sei ricco, qui vivono... Senza pensieri». Conserva rapporti con l’Ucraina?
«Non ho familiari mah o amici, contatti coi compagni di scuola». Ha chiamato qualcuno oggi? «Per l’anniversario? No». A chi è rimasto cosa augura?
«Quando hanno smesso di parlarne, tanti sono tornati a Chernobyl. Gli anziani che avevano avuto casa a Kiev rivolevano il loro mondo di campagna. Tanti giovani hanno prelevato oggetti e mobili dalle case abbandonate e li hanno portati in città, ma sono radioattivi, pericolosi. Mi auguro che tutto questo finisca».