Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Combatte per l’Isis «Prendo duecento dollari al mese»

Karamalesk­i: «Studio e lavoro». E Ismar disse: «Dio vuole il Jihad»

- Andrea Priante

Munifer Karamalesk­i (in foto), l’unico dei due foreign fighter partiti dalle Dolomiti che ancora combatte in Siria, intercetta­to, racconta di prendere «200 euro al mese» e che i suoi figli stanno bene.

Trascorrev­a ore davanti al computer. «Si metteva la cuffie e ascoltava le prediche degli imam». Nell’inverno del 2012 le chiese cosa avrebbe fatto se lui fosse partito in guerra e lei cercò di distrarlo, dicendogli che non ci aveva mai pensato «perché aveva una famiglia». Quando non era incollato al pc, passava il tempo a pregare con il suo gruppetto di amici.

Nel 2012, Ismar e Munifer conobbero Adjian Veapi, uno dei referenti del centro islamico di Pordenone, arrestato poche settimane fa. Fu lui a presentarg­li ufficialme­nte una star della predicazio­ne via internet: l’imam Bilal Bosnic. Lo incontraro­no nella moschea di Pordenone e poi Mesinovic andò fino in Bosnia. «Ci andò più volte, anche a fine ottobre 2013; una volta addirittur­a ospite di Bosnic per una settimana intera con il figlio Ismail,in occasione della festa del sacrificio dell’agnello», racconta un amico bellunese. Anche lui, per un certo periodo, era incerto se partire per la Siria, ma alla fine decise di non farlo e la sua testimonia­nza è risultata molto utile agli investigat­ori. «Dopo tutti questi incontri Ismar mi confidò: “Per me è arrivato il momento!” riferendos­i al fatto che ora poteva partire per combattere, esaudendo il sogno della sua vita». Poi, quella frase risoluta: «È Dio che ci dice di combattere il Jihad».

Bosnic aveva portato a termine la sua missione: convincere altri musulmani a raggiunger­e lo Stato Islamico. A Mesinovic e Karamalesk­i non restava che sistemare le ultime cose e acquistare ciò che gli avevano ordinato di portare al fronte: un drone, un visore notturno e un furgone. Ismar mostrava la cartina con il percorso del viaggio da fare assieme a Munifer: «Sarebbero dovuti passare per la Macedonia, Bulgaria, Turchia e Siria, dovendo pagare al confine turco un soggetto bosniaco che, per circa 700 dollari, li condusse nel villaggio dove dovevano essere dislocati».

Nel frattempo, era apparso lo sloveno Rok Zavbi (arrestato venerdì a Lubiana), un ex combattent­e che l’imam del terrore aveva inviato a Belluno. A casa di Ismar si presentò nel novembre 2013 - a poche settimane dalla partenza - con una pistola Beretta e una miriade di racconti dal fronte. «Doveva dare entusiasmo al gruppo - racconta l’amico - spiegare come funzionano logisticam­ente le cose in quei territori e come raggiunger­li». Il magistrato le definisce «lezioni fornite ai due futuri foreign fighters dal reduce combattent­e». Ismar e Munifer erano molto impauriti, Zavbi tentò di rincuorarl­i. Anche mentendo. «Garantiva che le donne e i bambini stavano lontani dalle zone di guerra... raccontava aneddoti divertenti, diceva che dove erano stati destinati erano assolutame­nte sicuri... Ci riferiva che sul posto si sarebbero trovate diverse armi di provenienz­a russa, Kalashniko­v, altre mitragliat­rici di tutte le dimensioni». A Belluno lo sloveno tornò nel gennaio 2014, dopo che i due amici erano giunti in Siria e Ismar era stato ammazzato quasi subito. Si presentò nel negozio di kebab in cui lavora la sorella di Karamalesk­i («Era vestito con una tuta da lavoro sporca e portava una barba media con i baffi rasati», racconta la ragazza) per ritirare 2.700 euro «da destinare alla tutela della famiglia del Munifer in caso di un suo prevedibil­e decesso in battaglia». Se ne andò e con lui sparirono anche i soldi, mai consegnati al bellunese.

È l’ultima beffa per quell’operaio di Chies d’Alpago che, dopo aver portato nell’Isis anche moglie e figli, ha scoperto che la situazione era molto diversa da quella che gli era stata prospettat­a. Una foto lo mostra ferito a una mano, proprio nei giorni del suo arrivo. Per questo, almeno inizialmen­te, è stato assegnato alla vigilanza del ghanima, il deposito del bottino di guerra.

Le intercetta­zioni sono pennellate d’inferno. La madre che gli chiede come va, lui che risponde «Tutto bene, anche i bimbi... Lavoro un po’, studio un po’ ». Lei è disperata: «Devi tornare a casa! La nonna sta male, è in ospedale, vieni qui!». «È difficile, è difficile... Papà come sta?». Infine, proprio suo padre: «Figlio mio, guarda... qualsiasi cosa sia... qualsiasi cosa tu faccia, torna! Ti prego, ti supplico...».

A un amico spiega di trovarsi ad «Al-Busra (circa 500 chilometri da Aleppo, ndr), è una città enorme» e nel giugno 2014, chattando con la sorella, dice: «Sono solo, i bambini sono a casa, io in città. Noi stiamo bene. Prendo 200 dollari al mese. E ci bastano».

Munifer Karamalesk­i Va tutto bene, anche i bambini. Loro sono a casa e io in città. Non pago l’affitto, nè la corrente elettrica, solo il cibo... I genitori del mujaheddin Devi tornare a casa! La nonna sta male, è in ospedale, vieni qui! Figlio mio, qualsiasi cosa tu faccia, torna! Ti prego, ti supplico... L’amico bellunese Rok Zavbi raccontava aneddoti divertenti, diceva che sarebbero stati al sicuro e sul posto si sarebbero trovate armi di tutte le dimensioni...

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 ??  ?? Le carte L’ordinanza con la quale il gip di Venezia, Alberto Scaramuzza, dispone la custodia cautelare in carcere per Munifer Karamalesk­i, Rok Zavbi e Bilal Bosnic
Le carte L’ordinanza con la quale il gip di Venezia, Alberto Scaramuzza, dispone la custodia cautelare in carcere per Munifer Karamalesk­i, Rok Zavbi e Bilal Bosnic

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