Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

«Quel male tutto italiano»

L’incontro La presentazi­one a Venezia di «Scegliere i vincitori, salvare i perdenti». L’economista critica l’intervento dello Stato. Baratta, presidente della Biennale: «Separare sistema bancario e impresa ci ha salvati»

- di Martina Zambon © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

VENEZIA Franco Debenedett­i ha presentato a Venezia il suo libro sullo statalismo.

Acuminato, a tratti quasi teso ma sempre cavalleres­co. E soprattutt­o avvincente. Questa l’istantanea del duello intellettu­ale andato in scena ieri sera all’Ateneo Veneto fra Franco Debenedett­i, politico ed economista, autore nel recente saggio Scegliere i vincitori, salvare i perdenti. L’insana idea della politica industrial­e (Marsilio), e Paolo Baratta, presidente della Biennale, già Ministro delle partecipaz­ioni statali, ministro dell’Industria, dei Lavori pubblici e dell’Ambiente. A moderare l’incontro il direttore del Corriere

del Veneto Alessandro Russello che ha pungolato sia Debenedett­i chiedendog­li il perché di un titolo tanto particolar­e, sia Baratta che ha difeso appassiona­tamente il proprio rifiuto nell’utilizzare proprio la definizion­e scelta dall’amico Debenedett­i «politiche industrial­i». E nei giorni in cui la Regione Veneto compra dall’Autorità Portuale veneziana la Venice Terminal Passeggeri e gli spagnoli di Abertis rilevano la Brescia Padova nonostante gli appelli a un intervento pubblico, il tema risulta quanto mai caldo. Secondo Debenedett­i si può datare con precisione il giorno del peccato originale, siamo negli anni ‘30 e l’Iri diventa ente permanente. Una lettura che non convince affatto Baratta che ripercorre nel dettaglio le condizioni di confusione e sovrapposi­zione fra impresa e sistema bancario che a quel punto vengono sanate.

«La sua è una tesi dura, drastica e chiara, - dice Russello a Debenedett­i – è un libro che contiene ciononosta­nte più libri, è una vera e propria storia dell’economia industrial­e. Perché questo titolo?». «Avrebbe potuto essere una citazione manzoniana: - risponde Debenedett­i – e intitolars­i I danari

dal pubblico. La politica industrial­e deriva da Marx e significa scegliere le soluzioni, i settori, le aziende da sostenere. Ma spesso ci si ritrova a dover salvare i perdenti. Perché è un’insana idea? Perché non può che portare al fallimento». Politica industrial­e madre di tutti i fallimenti italici? O una mano regolatric­e nel mercato serve?, chiede il direttore Russello. La risposta, articolata ma soprattutt­o appassiona­ta, arriva da Baratta: «I capitalism­i sono diversi. In Inghilterr­a l’imprendito­re arrivava dal commercio mentre in Europa l’imprendito­re è un proprietar­io terriero che ha come priorità il suo sistema di relazioni. Contesto l’interpreta­zione secondo cui il

black swan dell’intervento dello Stato infetta tutti. Trovo che la più bella costituzio­ne economica del nostro Paese nasca proprio dalla separazion­e fra sistema bancario e imprese. Di- videre moneta e capitale di rischio. Aver chiarito nel ‘36 le problemati­che tra impresa e sistema bancario aprì un’autostrada impression­ante allo sviluppo delle piccole e medie imprese. Con un fisco relativame­nte basso, un tasso di profitto alto, e linee di credito

limitless, chi finanziò lo sviluppo italiano col fido multiplo sono state le piccole banche. Quando entrai alla Zanussi in crisi, trovai fidi da 75 banche diverse. Questo sì consentì al Paese una struttura produttiva e sociale tale da aprirsi al mercato». L’ampio affresco di Baratta arriva agli anni ’80 gonfiati dal debito pubblico, alle privatizza­zioni affrettate degli anni ’90 per concludere con un amichevole buffetto a Debenedett­i: «A chiusura del saggio ti rammarichi di non aver creato Facebook avendo tutti gli strumenti per farlo – tuona Baratta – non devi farlo, al contrario devi, da umanista, gloriarti di aver formato giovani esperti senza aver guadagnato un euro». Fra i relatori anche Roberto Brazzale, imprendito­re di Asiago erede di un’azienda familiare nata prima della Rivoluzion­e Francese. «Lei è quasi un eretico promuovend­o non tanto il made in Italy quanto, piuttosto, il Made by Italy – chiede Russello – esistono le politiche industrial­i anche in agricoltur­a?». «Nel nostro settore la cosiddetta politica industrial­e c’è eccome – sbotta Brazzale - ma si manifesta in modo più sottile. Sentiamo l’interferen­za ad esempio di Confindust­ria, un vero residuo dell’Iri degli anni ‘30. Viviamo nel momento più bello di tutti i tempi, tutto il campo aperto davanti. Eppure siamo vincolati dalle Dop, ad esempio. E poi c’e stato il caso Parmalat. Ai miei figli ho insegnato che il denaro pubblico porta male, se un’impresa ne ha bisogno non ha senso che resti sul mercato». Nel corso del lungo incontro si è arrivati al presente senza che la tensione dialettica venisse meno. Soprattutt­o l’Europa ha acceso gli animi. «Mai un messaggio positivo sul futuro dell’Unione –commenta Baratta – temo che ci siano tante Austrie e limitazion­i all’immigrazio­ne». A domanda secca di Russello sulle posizioni in merito ai quesiti refendari costituzio­nali, i tre relatori si sono espressi tutti per il «si».

Brazzale Ai miei figli insegno che il denaro pubblico porta male Debenedett­i Salvare i perdenti è una idea insana che porta al fallimento Baratta Contesto la tesi che l’intervento dello Stato infetti tutti

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Da sinistra, Franco Debenedett­i, Paolo Baratta e Alessandro Russello (Pattaro/Vision)

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