Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Il «sacco» di Venezia e il coraggio di Alvise Zorzi
L’attualità delle denunce dello scrittore scomparso: un editoriale sul «Corriere del Veneto»
Si è spento sabato, all’età di 93 anni, Alvise Zorzi, scrittore e saggista.I funerali si tengono questa mattina alle 11 a Roma, nella chiesa di San Lorenzo in Lucina. Nelle prossime settimane le ceneri saranno portate a Venezia dove si terrà una cerimonia a San Zanipolo o a San Rocco. Zorzi ha collaborato a lungo con il «Corriere del Veneto», sempre sensibile alla salvaguardia ambientale e culturale di Venezia. Pubblichiamo il suo editoriale uscito il 6 marzo 2007.
Al «sacco di Roma», il furibondo saccheggio della Città Eterna da parte delle milizie imperiali l’anno 1527, sono stati dedicati molti studi. Ma chi scriverà la storia del «sacco di Venezia »? Del saccheggio che va spogliando questa sciagurata città di tutto ciò che non è turismo, che la va riducendo sempre più una melanconica, vetusta Disneyland mentre in coro le «competenti autorità» piangono lacrime di coccodrillo senza ammettere la propria incapacità di arrestarlo? Quarantuno anni fa, una donna coraggiosa, Teresa Foscari, seppe trascinare un paio di personaggi di peso mondiale a constatare con i loro occhi che l’alluvione del 4 novembre ‘66 non aveva devastato soltanto Firenze.
Ma nessuno è riuscito a coinvolgere chi può fare opinione a livello nazionale e internazionale in ciò che da anni succede da noi: la perdita progressiva e inesorabile di attività pubbliche e private con tutto il loro contorno economico e umano, concausa importante (non conseguenza!), di una calamità ancora peggiore dell’acqua alta, lo spopolamento e l’abbandono alla turistizzazione esclusiva e totale.
La chiusura delle officine meccaniche e di altre attività dell’Arsenale che occupavano gran parte dei lavoratori di Castello ha dato l’avvio all’esodo all’inizio degli anni Cinquanta; e non ricordo grandi proteste in Parlamento o altrove, come non ricordo grandi proteste per il trasferimento aMogliano degli uffici delle Assicurazioni Generali, che ha provocato la partenza di moltissimi veneziani. E poi? Poi è stato tutto un susseguirsi di altre partenze. Il Gazzettino abbandona palazzo Giustiniani Faccanon, dove aleggiava la memoria del leggendario fondatore Gian Pietro Talamini. La Rai, benemerita del recupero di Palazzo Labia grazie all’impegno di un grande veneto, Novello Papafava, se ne va a Mestre. L’Ospedale al Mare, dove era stata inventata anzitempo la talassoterapia, viene chiuso, e si pensa a farne un albergo. Le Poste chiudono la storica sede del Fondaco dei Tedeschi (diventerà albergo anche quella?). E via così, mentre di alcune attività superstiti si impossessano (per carità, del tutto legittimamente!) gruppi economici non veneziani. Un sindaco di Roma abile, potente e spregiudicato, strappa di mano a Venezia una Settimana del Cinema appoggiata con entusiasmo da ogni tipo di forze politiche e di categorie economiche locali, lasciando boccheggiante quella che era stata la prima mostra «d’arte cinematografica » al mondo (la Roma del Palazzo, del resto, l’aveva sempre avuta come il fumo negli occhi). E adesso tocca alla Corte d’Appello, castrata dalla creazione di una sezione staccata a Verona. Ma quando è stata varata questa operazione dov’erano i parlamentari veneziani? Ohimé, sognavano ad occhi aperti l’installazione di fantomatiche Agenzie europee o dell’Onu, o di imprese internazionali che non troverebbero sedi per sé né alloggi per i loro operatori perché nessuno pensa a procurargliele. Il guaio è che non c’è una visione politica globale del problema, ci si trastulla con dichiarazioni che lasciano il tempo che trovano, con indignazioni senza nerbo, con vacue apparizioni nei media. E, come in una famosa poesia di Kavafis, si aspettano i barbari. Ma i barbari sono già arrivati da un pezzo.