Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
La morte del runner colto dal fulmine Da poco ne aveva parlato con i colleghi
Gara tragica per un vicentino. L’organizzatore: fatto tutto il possibile
NOVENTA VICENTINA (VICENZA) Solo una decina di giorni fa aveva parlato con i colleghi della (rara) possibilità di essere colpito da un fulmine durante l’attività sportiva, snocciolando numeri e statistiche. Domenica è toccato a lui, raggiunto da una saetta che gli è entrata dal petto e gli è uscita dalla gamba, mentre affrontava un trail in provincia di Udine. Una macabra ironia del destino per Mario Pantanali, ingegnere informatico di 43 anni originario del Friuli e residente a Noventa Vicentina, sposato e padre di una bimba di 6, programmatore alla Technode Innovations & Consulting di Padova.
Pantanali amava nuoto, bici e running, ma la sua passione era l’ultratrail, la corsa tra la natura. Domenica il 43enne era a Gemona, ai nastri di partenza del «Trail dei tre castelli» con altri 300 atleti da Triveneto, Austria e Slovenia. Con un certificato medico agonistico in tasca ed altre gare alle spalle aveva optato per il percorso da 32 chilometri su 2 mila metri di dislivello. «Ti chiamo appena supero il traguardo a Venzone, dovrei arrivare per le 14», aveva promesso alla moglie, con cui aveva da poco festeggiato i 15 anni insieme. Lei lo aspettava a casa. «Perché se la porto con me, lei si annoia», aveva confidato l’uomo a un collega. Ma quella telefonata a Chiara Brusadin non è mai arrivata. «Non era da lui, è sempre stato molto preciso ed era abituato a portare il cellulare con sè», ha spiegato la donna, lanciando l’allarme.
Sorpreso da un breve acquazzone in una cresta esposta a 1.100 metri, non lontano dalla cima del monte Cuarnan, Pantanali è stato centrato da un fulmine che lo ha scaraventato una quindicina di metri più in basso rispetto al sentiero. Ad avvistarlo, alle 19, l’elicottero della Finanza: il cadavere, che presentava ustioni al torace e ad una gamba, è stato trasferito con l’elicottero all’obitorio di Montenars. «Abbiamo sperato fino all’ultimo che fosse un caso di omonimia e ancora ora stentiamo a crederci, siamo tutti molto scossi in azienda», commenta il collega e amico Giovanni Barmisan, che lo descrive come «una persona riservata e con un aplomb inglese, da gentleman, capace di non perdere mai la calma e di scherzare nei momenti di relax, una persona di grande cultura, tanto che nel caso di quesiti irrisolti era spontaneo dire “se non lo sai chiedilo a Mario”».
Ora ci si interroga sulla sua morte. A parlare è l’organizzatore del trail Luca Brollo: «La gara era partita col bel tempo, poi sono arrivati venti minuti di temporale. Grandinava, per un po’ abbiamo anche sospeso l’evento e fermato alcuni atleti. Ma ormai era accaduto l’irreparabile. Le nostre parole e i nostri pensieri sono per Mario e la sua famiglia». Ma si poteva fare di più? «Non devo essere io a giudicarmi, ma pensiamo di aver fatto il possibile per gli atleti in gara». A sostenerlo, l’eterogeneo mondo degli skyrunner del Nordest, tra cui il concorrente Cristiano Moschini «Kapo»: «Non ho avuto la percezione di pericolo quando ho udito quei due “botti” a secco», ha scritto sui gruppi Facebook degli amanti dei trail. C’è poi l’intervento di Enrico Pollini che organizza sia la Trans D’Havet (gara sospesa nel 2014 per una tempesta di fulmini che aveva ferito tre atleti), che l’Ultrabericus: «La montagna è così, talvolta imprevedibile. Possiamo solo provare a imparare ad affrontare con sempre più attenzione e freddezza: forse distendersi a terra sopportando freddo e pioggia, finché passa».