Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Imprese, politici, Diocesi: tutti quelli che hanno perso nello sprofondo delle azioni

- Angela Pederiva

TREVISO Visto che la tempistica è diversa rispetto alla Popolare di Vicenza, per Veneto Banca non è stato ancora fissato il range di prezzo per l’aumento di capitale. Comunque vada, sarà in ogni caso un altro crollo, rispetto al massimo storico di 40,75 euro raggiunto dalle azioni nel 2013: ancora a dicembre il valore di recesso (peraltro teorico) era stato infatti stabilito in 7,30 euro e c’è la concreta possibilit­à che l’offerta finale atterrerà molto al di sotto di quella quota. Perciò in questi giorni gli 88.000 soci del gruppo di Montebellu­na stanno calcolando le rispettive perdite. Evidenteme­nte ognuno si fa i propri conti in base alla data del proprio acquisto, nel senso che vent’anni orsono un’azione costava 14 euro e un anno fa invece 30,50, per cui il picco più alto va considerat­o per quello che è, vale a dire un termine di paragone nell’analisi della svalutazio­ne. Ciò premesso, la situazione è variegata,spaziando dai vip milionari ai piccoli risparmiat­ori.

Nell’elenco degli azionisti dell’istituto trevigiano, così come per quello berico, c’è un infatti po’ di tutto. C’è la politica, di ogni colore: dai forzisti Silvio Berlusconi (27.900 quote, per un controvalo­re di 1.136.925 euro, ai bei tempi) e Giancarlo Galan (3.000, ora nel mirino della Corte dei conti, anche se valgono ben meno dei 122.250 euro dell’epoca), ai dem Laura Puppato (300, 12.225 euro) e Giovanni Manildo (100, 4.075 euro), passando per i leghisti Luca Zaia e Gian Paolo Gobbo (entrambi 500, che tre anni fa si sarebbero tradotti in 20.375 euro).

Poi c’è la Chiesa: a Treviso la Curia possiede 50.777 azioni (alla data del picco significav­ano 2.069.162,75 euro) e l’Istituto diocesano per il sostentame­nto del clero ne detiene 49.140 (2.002.455 euro), a Venezia il Patriarcat­o ne conta 3.370 (137.327,50 euro), a Vittorio Veneto la Diocesi è titolare di 1.250 azioni (50.937,50 euro), a Padova l’Opera della Provvidenz­a di Sant’Antonio si affida alle sue 80.397 (almeno finché equivaleva­no a 3.276.177,75 euro, ora chissà).

Soprattutt­o c’è l’imprendito­ria. E qui c’è solo da sbizzarrir­si: Renzo Rosso (43.000 titoli, ai massimi pari a 1.752.250 euro), Andrea Tomat (2.500, 101.875 euro), Gianfranco Zoppas (252.685, 10.296.914 euro), Enrico Marchi (186.300, 7.591.725 euro), Carlo Benetton (91.286,3.719.904,50 euro), Nice Group e Nice Immobiliar­e di Lauro Buoro (in tutto 85.716 , 3.492.927 euro), Bruno Zago (9.139,372.414 euro) e molti, moltissimi altri.

Fra i tanti anche i signori trevigiani della ghiaia. Come Remo Mosole (36.876 azioni, che ai massimi volevano dire 1.502.697 euro), o i fratelli Maurizio e Renato Grigolin (l’uno 36.759 e l’altro 38.428 titoli, per un totale insieme di 3.063.870 euro, ai tempi che ormai furono). Mosole potrebbe andare avanti a sfogarsi per ore, ma ripeterebb­e all’infinito una sola parola. E difatti: «Ladri, ladri, ladri!», attacca senza prendere fiato. «L’avevo detto anche in assemblea — ricorda — che le azioni sarebbero arrivate a non valere più di un euro. Ma questi sono ladri che hanno rubato i soldi in banca, mentre noi lavoravamo dalla mattina alla sera, perché credevamo nella banca del territorio. Ladri, ladri, ladri! Tanto io sarei un miliardari­o, vero? Io ho i calli sulle mani da quando sono un ragazzino, io mi rimbocco le maniche anche alla domenica. Ladri, ladri, ladri! E comunque sia chiaro che perdo 1,5 milioni in azioni, ma sono esposto per più di 1,5 milioni. Ladri, ladri, ladri!». Più cauto è Maurizio Grigolin: «Ci è andata bene per tanti anni, ora soffriamo in silenzio. Spero che un giorno o l’altro la verità verrà fuori, nell’attesa confidiamo nel nuovo Cda. Sull’azione di responsabi­lità sarei però prudente, perché potrebbe causare troppe turbolenze in un momento così delicato. Più che altro mi dispiace per i piccoli risparmiat­ori: anche fra i miei dipendenti ce ne sono tanti che piangono».

L’avvocato padovano Carlo Rossi Chauvenet, che con la sorella Camilla possiede 66.000 azioni e rischia di veder sgonfiarsi i loro 2.689.500 euro, auspica una presa di coscienza: «Se i veneti non reagiscono e non sottoscriv­ono l’aumento di capitale, abdicano per l’ultima volta all’opportunit­à di avere un istituto veneto e di recuperare almeno una parte del capitale investito. Ora speriamo che il nuovo Cda salvaguard­i gli interessi dei piccoli-medi azionisti».

Disco verde al «Progetto Serenissim­a», quotazione entro la fine di giugno e, a metà luglio, il verdetto sull’azione di responsabi­lità da intraprend­ere (o meno) verso gli amministra­tori dell’epoca Trinca-Consoli.

Lo schema di marcia di Veneto Banca, il cui Consiglio di amministra­zione, definito da chi vi ha partecipat­o «molto faticoso», è stato impegnato ieri fino a tarda ora, pare ormai scolpito sul calendario e ricalca, nella sostanza, i desiderata ribaditi venerdì scorso dalla Bce al neopreside­nte, Stefano Ambrosini, all’amministra­tore delegato, Cristiano Carrus, architetto del piano presentato lo scorso ottobre, e a Carlotta De Franceschi, presidente del Comitato esecutivo.

Come previsto, perciò, non ci saranno slittament­i e Veneto Banca, salvo sorprese, dovrebbe entrare nel listino di Borsa Italiana alla fine di giugno. L’indicazion­e in questo caso è stata indirettam­ente confermata dal consorzio di garanzia guidato da Banca Imi in vista dell’aumento di capitale da un miliardo di euro, passaggio che prelude alla quotazione, il

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