Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

L’UTILITÀ DEI CORPI INTERMEDI

- di Vittorio Filippi

C’erano, una volta, e contavano, eccome se contavano, le rappresent­anze. C’erano, per dirla in termini più forbiti e solenni, le formazioni sociali di cui parla nientemeno che il secondo articolo della nostra Costituzio­ne. Corpi intermedi che, nel pensiero personalis­ta dei costituent­i, avrebbero dovuto appunto mettersi in mezzo, mediando, tra il singolo e lo Stato favorendo così la partecipaz­ione e combattend­o l’individual­ismo.

C’erano perché da qualche anno le rappresent­anze sono uscite decisament­e di moda: accusate di inefficien­za, di corporativ­ismo, di mediazioni inconclude­nti. Fatte fuori dal decisionis­mo leaderisti­co della politica, dalla globalizza­zione dell’economia, dall’assenza di grandi conflitti sociali e dall’individual­ismo della cultura odierna.

Insomma, si dice che siamo in tempi di disinterme­diazione. Nella società sempre più liquida, il verticale ha la meglio sull’orizzontal­e. E poco conta che, soprattutt­o in Veneto, le rappresent­anze con il loro tessuto associazio­nistico molto diffuso (sindacale, imprendito­riale, religioso, sociale, culturale) abbiano costituito un segmento importante del Dna sociale ed un tratto costitutiv­o dello sviluppo locale.

Fine delle rappresent­anze allora? No, tutt’altro, fino a quando ci saranno processi di sviluppo e quindi di squilibrio sociale, con conseguent­i tensioni, litigiosit­à, istanze da convogliar­e in mobilitazi­oni collettive e da governare.

Siamo infatti una società in cui aumentano le disuguagli­anze sociali ed in cui quindi fanno grumo risentimen­ti che non possono essere lasciati rancorosam­ente a loro stessi, ma devono essere collettiva­mente rappresent­ati e “sfogati”. Siamo anche una società che sta integrando milioni di stranieri, tutti portatori di interessi forti (casa, lavoro, scuola, lingua, ecc.) e tutti alle prese con nuove identità collettive; interessi e identità che qualcuno dovrà pure rappresent­are. E siamo una società che tende a cumulare un malcontent­o e talvolta un livore che va in qualche modo raccolto e gestito. Senza coltivare le emozioni della piazza o le depression­i familiari. Di sicuro occorre “Rigenerare la rappresent­anza”, come scrivono in un loro agile volume Casteller e Rigobello, due uomini che provengono proprio dall’associazio­nismo artigiano. Proprio quell’associazio­nismo oggi in particolar­e difficoltà perché alle prese con perdite di iscritti, difficoltà di fornire servizi alle aziende, fatica nel raccoglier­e e nel portare avanti gli interessi degli associati. Il tutto in un contesto economico a dir poco – ma molto poco – incerto e nebuloso. Eppure da qui si deve partire: perché solo le associazio­ni, le rappresent­anze, sanno intrecciar­e le esigenze dei loro iscritti e le necessità del loro territorio con le grandi trasformaz­ioni che altrimenti rischiano di correre alte e veloci sopra le nostre teste: ma senza coinvolger­ci o interpella­rci.

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