Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Bertante racconta la ribellione degli anni Ottanta

Una generazion­e in bilico: droga, consumismo e disillusio­ni

- di Francesca Visentin

Un romanzo generazion­ale e insieme una biografia, il libro di Alessandro Bertante. Una narrazione adrenalica, in cui l’autore parla di se’, ma anche di chi aveva vent’anni negli anni Ottanta, quelli «cresciuti senza memoria, senza maestri, braccati dall’eroina». Il romanzo di Bertante, Gli ultimi ragazzi

del secolo (Giunti, 215 pagine, 16 euro) è uno dei libri finalisti del Campiello, il premio letterario di Confindust­ria Veneto.

Autoriferi­to senza nasconderl­o: l’Alessandro protagonis­ta è proprio l’autore e anche il ragazzino che troneggia in copertina è Bertante a 10 anni. Il romanzo ha il merito di fotografar­e con la lucidità e il ritmo di un film d’azione lo spaesament­o dei giovani cresciuti tra «Drive In» e centri sociali, tra i paninari e la droga. Un senso di colpa permea il romanzo, aleggia in ogni pagina come un peso insostenib­ile ma di cui pare impossibil­e sgravarsi. Alessandro cresce da genitori ex Sessantott­ini imborghesi­ti nella Milano tossica dei primi anni Ottanta, ha vent’anni nel momento in cui esplode il consumismo, l’invasione merceologi­ca, le tivu’ di Berlusconi. Il romanzo scorre sul binario parallelo della vita di un adolescent­e in bilico tra depression­e e autodistru­zione nella Milano di periferia, tra droga, musica alternativ­a e luoghi della ribellione, il Leoncavall­o e il Virus.

E l’altra linea di narrazione, e’ quella del viaggio, qualche anno dopo, nella Bosnia appena uscita dal conflitto, con un amico. Alessandro si aggira tra Mostar e Sarajevo, sfigurate dalla guerra, incontra personaggi in bilico tra paura, rassegnazi­one, rinascita. Dalla Milano da bere a una Sarajevo senz’acqua, il salto sembra un baratro. E se il ventenne Alessandro nella sua Milano tossica ha trovato il conforto della musica dei poeti urbani, i Joy Division di Ian Curtis, che trasformav­ano lo spazio claustrofo­bico della metropoli in immaginari­o collettivo, il giovane uomo che attraversa la Bosnia con una vecchia Panda smaschera la falsità della storia, concludend­o che «la guerra nei Balcani è solo una questione economica».

Complesso il ragionamen­to che fa lo scrittore sui ragazzi degli anni Ottanta, «generazion­e di mezzo che non ha saputo creare una consapevol­e narrazione di sè stessa», come in qualche occasione l’ha definita. Quel che resta, oltre lo sbrillucci­chio delle ragazze Drive In, oltre la droga, oltre i centri sociali e le rivolte e’ il senso di un sconfitta generazion­ale. Che nemmeno il viaggio tra la devastazio­ne del conflitto balcanico potrà placare. Un adolescent­e randagio e ribelle, poi un giovane uomo di fronte al dramma della Storia. In mezzo la fatica enorme del sopravvive­re quotidiano, la ricerca di un senso per non gettare le giornate e la vita in pasto alla droga. «Noi, adolescent­i fragili, drogatissi­mi e inermi, costretti ad ascoltare una marea di scemenze che non ci avrebbero portato da nessuna parte... Ci hanno raccontato una storia senza lieto fine, perché il lieto fine saremmo dovuti essere noi, i loro figli...». E la conclusion­e è amara: «Siamo stati gli ultimi ragazzi del secolo, adesso ce ne andiamo per sempre, senza rimpianti... Non abbiamo avuto ragione, non ogni volta, questa sciocca pretesa è diventata una debolezza che ha condiziona­to tutte le nostre scelte. Ora ci sbarazziam­o di ogni eredità e della stanchezza di sentirci generazion­e mancata... abbandonia­mo finalmente la sensazione di essere arrivati in ritardo dopo qualcosa che non ci è appartenut­o».

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 ??  ?? Lo scrittore Alessandro Bertante con il suo romanzo «Gli ultimi ragazzi del secolo», fotografat­o a Venezia (Foto Pattaro/Vision)
Lo scrittore Alessandro Bertante con il suo romanzo «Gli ultimi ragazzi del secolo», fotografat­o a Venezia (Foto Pattaro/Vision)

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