Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
IL VERO SFREGIO DI VENEZIA
Nessuno si sogna, ovviamente, di assolvere o anche solo di giustificare gli atti di vandalismo compiuti a Venezia nel corso delle ultime settimane. L’arroganza, l’inciviltà, la mancanza di ritegno o di pudore non possono mai essere tollerate, qualunque sia la forma in cui esse possono presentarsi.
Tutt’altra cosa è, d’altra parte, cercare di capire come sia possibile che comportamenti di quel genere possano accadere e ripetersi, anche quando coloro che se ne rendono protagonisti non siano teppisti in servizio permanente effettivo, ma persone per altri aspetti normalissime, abitualmente aliene da atti disdicevoli o criticabili.
Allo stesso modo, una comprensione meno superficiale delle cause di questo fenomeno potrebbe anche aiutare a individuare le contromisure più appropriate, da un lato per sanzionare una condotta riprovevole, e dall’altro per disincentivare il ripetersi di fatti obbiettivamente molto incresciosi.
Nella prospettiva ora indicata, le proposte del governatore del Veneto, o le minacce del sindaco di Venezia, sono a nostro giudizio inadeguate, frutto della volontà di fare la faccia feroce, più che un modo per fronteggiare convenientemente il vilipendio della città. Zaia si è preso la briga di scomodare il presidente Mao, ricorrendo ad una citazione – «colpirne uno per educarne cento» – il cui significato bellico avrebbe dovuto ispirare maggiore prudenza.
Brugnaro non è andato per il sottile, auspicando la galera per i deturpatori dell’onore della città. In entrambi i casi, ciò che colpisce – e che dovrebbe essere ragione di allarme – non è tanto l’evidente sproporzione fra le colpe che si vorrebbero reprimere e l’entità delle pene invocate.
Colpisce e preoccupa la cecità nei confronti di un fenomeno che, paradossalmente, i casi all’ordine del giorno hanno sbattuto in faccia a tutti, a cominciare dai politici e dagli amministratori.
Per dirla in termini semplificati: tu puoi pretendere il rispetto e la buona educazione se, in quanto investito di una responsabilità pubblica, dimostri concretamente e per primo rispetto e buona educazione.
Puoi essere inflessibile verso l’orda dei barbari che calano in laguna, se lo sei anzitutto verso i residenti. Puoi esigere la correttezza della condotta che si deve assumere in un museo o in una chiesa, se testimoni una analoga correttezza mediante la salvaguardia e la tutela di ciò che ti è stato affidato.
Insomma, se il visitatore che arriva a Venezia deve affrontare fin dall’inizio una vera e propria via crucis, imparando che il parcheggio dell’auto non è un diritto, ma una concessione discrezionale pagata a caro prezzo, che il viaggio in vaporetto è un’avventura disagevole e costosa, che per un pasto in una trattoria è necessario fare un mutuo, che la visita di alcuni luoghi d’arte è spesso subordinata alla disponibilità sottobanco di guardiani compiacenti, che una bottiglietta di acqua minerale può valere come un calice di champagne di marca, che alcuni luoghi che dovrebbero essere riservati al culto sono invece dedicati al mercimonio degli oggetti più diversi – se accade tutto ciò, non vi è da stupirsi se poi le «risposte» sono in qualche modo allineate a uelle che si potrebbero considerare suggerimenti, se non vere e proprie provocazioni. Ma le scoperte più sorprendenti il visitatore sarebbe indotto a farle, se verificasse che cosa fanno gli amministratori pubblici (Sindaco e Governatore in testa) per evitare il degrado cronico e strutturale di questa meravigliosa città. Fare la pipì su un muro, soprattutto se è del Cinquecento, è cosa comunque censurabile. Ma lasciare che un sito unico al mondo sia ridotto ad un ibrido fra un souk e Disneyland, è una colpa maggiore e non perdonabile. Umberto Curi © RIPRODUZIONE RISERVATA