Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Nei paesi a rischio «Qui c’è poco di antisismico»
Scuole e ospedali fuori norma, ma almeno il «pubblico» ci prova I privati no e Amatrice non li cambia: «Impresa costosa e improba»
Viaggio nella «lingua viola», quella che per l’Istituto nazionale di geofisica rappresenta il massimo grado della pericolosità sismica in Italia, tra Treviso e Belluno. Gli abitanti convivono col rischio. Il sindaco. «Stiamo facendo un grande sforzo, soprattutto sulle scuole».
VITTORIO VENETO (TREVISO) Nel cuore della «lingua viola», quella che per l’Istituto nazionale di geofisica rappresenta il massimo grado della pericolosità sismica in Italia, la protezione civile c’è, ma è per via di una gara ciclistica, smista il traffico e si gode la fuga. Nel cuore della «lingua viola», quella che s’incunea al confine tra le province di Treviso e Belluno avvolgendo come un magma Vittorio Veneto e Tarzo, Fregona e Farra d’Alpago, Tambre e Revine Lago, Cison di Valmarino e Follina, la gente se ne sta seduta al bar, tra il «Lux» e il «Caffè nuovo unione», beve spritz e mangia olive, sfogliando i racconti della tragedia lontana: «Poareti, terribile». Non sa o finge di non sapere o non vuol sapere, che per gli studiosi e le carte rilanciate in questi giorni tremendi dai giornali e le tivù, qui a Vittorio Veneto, sulla terra morenica fatta di detriti, falde e fiumi sotterranei, si sta come si stava ad Amatrice una settimana fa.
«E che ci possiamo fare? - allarga le braccia un signore intento a celebrare con un amico il rito dell’aperitivo -. “Rimozione” questa è la parola chiave: sappiamo che può succedere ma non ci facciamo caso, passiamo oltre e sarà quel che sarà». Lui sta in una casa del Quattrocento (non anti sismica) e cerca di convincerci che l’alternativa è una vita angosciata, col Valium al posto delle olive, e poi magari il terremoto manco arriva. «A Serravalle l’ultimo terremoto è stato 400 anni fa» ricorda l’amico (pure lui casa non antisismica) che con gli occhiali sulla punta del naso analizza la cartina da esperto collaudato («Qua è sbagliata, secondo me»). Insomma, «il terremoto potrebbe buttare giù tutto domani ma potrebbe anche lasciarci tranquilli per altri 400 anni, no?». Che senso ha buttare i soldi nella messa a norma?
Abbiamo parlato con una decina di persone tra piazza del Popolo, i giardini di fronte, il «Bar Lux» e il «Caffè nuova unione». Tasso di conoscenza del rischio sismico nell’area: 100% (con più o meno passione per i tecnicismi); tasso di preoccupazione: 20%; tasso di voglia di spendere soldi per l’adeguamento alle più recenti norme salvavita: 0%. D’altronde, si parla di cifre attorno ai 300 euro al metro quadro: «E a mi chi xé
che me dà i schei?». Tocca fidarsi, come ci confessa Franca, la vecchia proprietaria del Caffè, che ancor oggi vive al piano di sopra, in un palazzo anni Settanta: «Mi hanno detto che è pieno di ferro, io ci credo» (casa forse anti sismica). Progetti? Macché. Libretto dell’abitazione? Ma va. D’altronde, con l’eccezione di chi se l’è costruita, chi sa davvero cosa c’è nei muri di casa? «Io e mio marito siamo di Conegliano, per fortuna» sorride una cliente. Ma la Franca la fulmina: «Non sta preocuparte, se arriva il terremoto qui tira giù anche voi». Così, dritto-perdritto, strappa un sorriso amaro e in silenzio, scacciando il pensiero, vien da chiedersi se magari anche lì, in Centro Italia, una volta provavano ad esorcizzare la paura col fatalismo e l’ironia.
Un impiegato del Comune, Luca Borin (casa anti sismica, crede), ci racconta che anche se si ricordano parecchio bene la notte tragica del Friuli del 6 maggio 1976, l’ultimo terremoto a Vittorio è stato nel 1936, con danni al seminario vescovile e al duomo. La città s’è poi sviluppata soprattutto negli anni Sessanta e Settanta quando le normative antisismiche o non esistevano o erano quello che erano, quando si doveva costruire molto, in fretta, cavalcando l’onda del boom. «Chi è in grado di dire oggi come all’epoca sono state fatte le case in cui abitiamo?». Comunque adesso il Comune è stato inserito in «zona 1» e questo, almeno sul piano della burocrazia, dovrebbe imporre qualche cautela in più. Denari permettendo, come al solito.
«Stiamo facendo grandi sforzi su questo fronte - ci dice il
sindaco Roberto Tonon (casa anti sismica) - sforzi a onor del vero iniziati già con l’amministrazione precedente (leghista, mentre lui è del Pd, ndr.). Ci stiamo concentrando soprattutto sulle scuole: prima la materna, 400 mila euro, poi sarà la volta delle elementari e delle medie, con progetti attorno ai 700 mila euro, tutti soldi da conteggiare nel Patto di stabilità». Ne consegue che, fino a quando i lavori non saranno conclusi, le scuole non sono a norma. «Tecnicamente sì. Però sa, la scuola di Amatrice era nuova di zecca, sicurissima per i tecnici, all’avanguardia e sappiamo com’è andata a finire» ragiona Tonon guardando fuori dalla finestra del municipio (150 anni d’età, certamente non anti sismico). Già, è crollata e quelle macerie sono diventate uno dei simboli della tragedia, di sicuro quello di una certa Italia degli appalti e dei lavori pubblici «a regola d’arte». Poco distante, a Norcia, muri e tetti però hanno retto. «È vero, per questo si deve intervenire. Di recente ho chiesto rassicurazioni anche al direttore generale dell’Usl per l’ospedale: il progetto c’è, i fondi sono stati stanziati, manca solo il bando di gara. Dobbiamo fare in fretta». Significa che neppure l’ospedale è a norma? «No, non lo è». Che poi, che vuol dire «a norma»? Quando l’abbiamo chiesto molti (sindaco compreso) ci hanno domandato di rimando: «A quale legge si riferisce?». Perché mica ce n’è una sola, la prima è del 1974, l’ultima è stata approvata dopo L’Aquila nel 2008 «e quindi chiunque può dire che, al momento della costruzione, la sua casa era a norma. E oggi non lo è più».
Per questo l’assessore regionale all’Ambiente e alla Protezione civile, Gianpaolo Bottacin, che vive pure lui nella «lingua viola» (casa non anti sismica) si arrabbia: «Invece di fare mille ritocchi ad ogni tragedia basterebbe prendere la normativa più all’avanguardia, quella giapponese, e fare copia e incolla». Ma poi per stare tranquilli ci si dovrebbe adeguare e i soldi chi li mette? «Le cifre le stiamo leggendo tutti sui giornali: si parla di centinaia di miliardi, una spesa colossale alla quale, onestamente, è impossibile dire come si potrebbe far fronte». Il pubblico ha le casse vuote e procede (lentamente) per priorità, sperando di arrivare a fine lista prima che sia troppo tardi. I privati, per quel che abbiamo sentito, preferiscono giocare a scacchi col destino: «Detto che a molti degli incontri che organizzo con i sindaci, lontani dall’eco delle emergenze, si presentano mediamente tre o quattro persone, alcuni interventi andrebbero imposti - prosegue Bottacin - perché di democrazia partecipata alle volte si rischia di morire». Magari con sgravi fiscali o incentivi edilizi in stile Piano Casa, come suggerito dal sindaco Tonon? «Finora tutte le strade tentate si sono rivelate inutili - va giù piatto l’assessore - e poi diciamocelo onestamente: come possiamo intervenire su centri storici e borghi? Si dovrebbe radere tutto al suolo e ricostruire in stile, una cosa impensabile».
E dunque, resta tutto più o meno com’è, par di capire non per scelta ma per condizione. A Vittorio Veneto come sul Fadalto, dove sotto i plinti vertiginosi della A27 (antisismici, ci assicurano, e si spera) vivono oramai solo anziani e stranieri, o come nei piccoli Comuni che tra il Cansiglio e il Nevegal aprono le porte del Bellunese («Ci vivono persone d’una certa età soprattutto, come me - sbotta la signora Franca - e di qualcosa si deve pur morire prima o poi, no?»). O come a Serravalle, dove la casa più vecchia fu tirata su nel 1300 e il castello addirittura dai romani e basta una passeggiata in piazza Flaminio per immaginare cosa potrebbe accadere. «Abbiamo realizzato lavori di consolidamento, i soliti insomma, ma di adeguamento anti sismico no» spiega il parroco del duomo, don Ermanno Crestani (canonica non anti sismica). «Furono fatte anche delle esercitazioni tanti anni fa, neppure le ricordo più. Ma i miei parrocchiani sono tranquilli, io sono tranquillo e sì, insomma, non credo troverà molte soddisfazioni - ci congeda accogliendo una coppia di futuri sposi - qui è davvero tutto tranquillo». Marco Bonet © RIPRODUZIONE RISERVATA