Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Nono e Ungaretti Una lunga amicizia di suoni e versi
Il volume Pubblicato il carteggio tra il musicista veneziano e il poeta Il primo incontro a Roma nel ‘48. Una storia di tentativi e progetti su temi diversi, un’intesa in cui coesistono tradizione e modernità
Luigi Nono ancora ragazzo era già appassionato lettore delle poesie di Giuseppe Ungaretti e suo entusiasta ammiratore, e, dopo la guerra, gli scrive «chiedendogli il permesso di mettere in musica il suo Poema della solitudine (?)» -forse La Pietà del Sentimento del tempo - che aveva attratto anche il più maturo Ildebrando Pizzetti, ha poi 24 anni, quando, nel ‘48, va a Roma a incontrarlo, appena laureato in diritto penale e ancora allievo di Malipiero al Conservatorio veneziano.
Il poeta, ormai sessantenne, ha maturato esperienze terribili - dalla grande guerra alla perdita di un figlio bambino - e gode di una solida fama internazionale e di altrettanta autorevolezza, con fatica appannata da antiche simpatie per Mussolini e un fascismo naïf invano riesumate polemicamente dopo la guerra, e, di fronte al giovane musicista che cerca parole per sostanziare di significato i suoi suoni che vogliono misurarsi col dolore del tempo, prova un’immediata e duratura simpatia.
La storia di quest’incontro, così improbabile per la distanza abissale che allontana i protagonisti, è al tempo stesso minima ed esemplare, priva cioè di conseguenze epocali ma «tipica» di una generosa disponibilità a guardarsi dentro, scavando nei sentimenti e nei propositi con una determinazione che esclude scorciatoie o approssimazioni: in questo contesto ogni cosa ha un valore definitivo, ogni parola è scelta per sempre (für ewig), ogni suono pretende l’assoluto.
Ci vorranno dieci anni perché i Cori di Didone da La terra
promessa diventino un coro di Nono per percussioni (1958), eseguito per la prima volta a Darmstadt durante i Ferienkurse, ma intanto tentativi e progetti si moltiplicheranno, spaziando tra i più diversi generi musicali e le più imprevedibili scelte tematiche, dal cinema verità di Zavattini al Diario di Anna Frank.
Eppure il sublime di Ungaretti resta al vertice dei desideri di Nono: «leggendo i Suoi ultimi “cori” son convinto che solo LEI oggi mi può scrivere il testo per un nuovo teatro musicale. dalla Sua umanità e dalla Sua essenzialità . nel vivo della vita e della natura... Ungaretti carissimo, lo faccia! Mi scriva il testo!... mi è necessario! e Lei può risolvere tutto» (13 giugno 1959).
Lo scambio epistolare inizia con un sogno nel quale Ungaretti appare a Nono «vicino San Moisè» nel ‘50 e prosegue, prescindendo a lungo da qualsiasi considerazione politica o ideologica, nel fervore di una molteplicità di incontri che aspirano al dialogo e alla pace, senza riuscire a cancellare l’inquietudine, se non la paura, di fronte al mondo minacciato e dolente, al «grido d’amore» o «di vergogna» che tragicamente incombe: Nono più ancora delle parole di Ungaretti è attirato dai suoni, dall’uso «meraviglioso !!!» delle vocali e delle consonanti, dalla «bellezza intensamente umana del suo spirito», come a Ungaretti preme la «mirabile musica», il canto «straziante e stupendo», indifferente alla «distruzione del testo» che la critica tradizionalista denuncia severa.
C’è «quasi una consanguineità» tra i due, un’intesa ben al di là delle parole e delle opere, che trasforma questo incontro nell’«ultima occasione in cui un poeta abbia amato davvero e conosciuto davvero l’arte di un musicista, e un compositore abbia amato e conosciuto con passione e competenza l’opera di un poeta» (Q. Principe), nel segno di una coesistenza di «tradizione e modernità, resistenza indelebile del mito e labilità della storia» (M. C. Papini).
Subito dopo i Cori, Nono affronterà il teatro musicale sempre diffidando di testi troppo espliciti, dei quali pur si serviva nelle polemiche quotidiane, scegliendo, invece, scrittori tesi al «sublime», da Ripellino a Scabia, a Cacciari, nel segno di una coerenza con la sua originaria scelta di Ungaretti.
Le lettere di un ventennio (1950-1969) sono ora raccolte con generosa competenza e ricchezza di apparati a cura di Paolo Dal Molin e Maria Carla Papini sotto il titolo Per un sospeso fuoco (Il Saggiatore, pp. 476, 35 euro). © RIPRODUZIONE RISERVATA