Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«Vogliamo la Serenissima, non la guerra»
In tribunale con bandiere e volantini i 24 veneti accusati di terrorismo: «Non riconosciamo lo Stato italiano»
BRESCIA Siamo a Brescia ed è ormai ora di pranzo. Una Punto grigia gira a sinistra, direzione centro, la ragazza a lato passeggeri abbassa il finestrino e si sporge con la testa: «Per terra e per mare». Risposta, all’unisono, dal marciapiede di via Lattanzio Gambara: «San Marco!». Sventolano ancora le bandiere storiche della Serenissima, mentre gli indipendentisti veneti pian piano si dirigono ai pullman, al ristorante, alle auto.
Sono arrivati circa in duecento, ieri mattina presto, per manifestare fuori dal Palagiustizia: dentro, la prima udienza preliminare a carico di 48 «secessionisti» lombardi e veneti accusati di associazione con finalità terroristiche ed eversione dell’ordine democratico. Per l’accusa — titolare del fascicolo il pm Leonardo Lesti che dopo il trasferimento a Milano ha lasciato l’inchiesta nelle mani del procuratore aggiunto Carlo Nocerino — i mezzi con i quali i Serenissimi volevano sovvertire l’ordine democratico dello Stato erano «dichiaratamente violenti». Così come la consapevolezza di «alzare il livello dello scontro», fino «all’insurrezione delle popolazioni del Nord Italia». Tra loro, diversi nomi di spicco dell’indipendentismo veneto: dall’ex leader dei Forconi, il veronese Lucio Chiavegato, al trevigiano Franco Rocchetta, «padre» della Liga Veneta e sottosegretario agli Esteri nel primo governo Berlusconi, tra il 1994 e il 1995, considerato l’ideologo del gruppo. Nella lista degli imputati compaiono anche alcuni dei protagonisti dell’assalto al Campanile di San Marco del 1997 (Luigi Faccia e Flavio Contin ) e persone comuni, come l’ex catechista Maria Marini o la barista Erika Pizzo. Avevano costruito persino un tanko, ritrovato in un capannone a Casale di Scodosia (Padova) che secondo i periti incaricati dal gip di Rovigo «può sparare. Ma non è un’arma da guerra»: sarebbe servito per un’azione dimostrativa in piazza San Marco, a Venezia. E a proposito di Venezia, in udienza le difese (eccetto una) hanno sollevato eccezione di competenza territoriale e chiesto che il procedimento passi al tribunale veneto. Parti civili: ministero dell’Interno e presidenza del Consiglio. In sostanza, per il pm il terrorismo si concretizza il 26 maggio 2012, quando all’Agricola Boschi di Erbusco i secessionisti costituiscono l’associazione «Alleanza». I legali cristallizzano invece un momento successivo: la riunione di Padova, il 7 ottobre, nella quale si decide di realizzare il tanko. In aula hanno preso la parola anche loro, alcuni imputati tra cui i veneti Contin, Patrizia Badii, Luca Vangelista, Gabriele Perruca, Tiziano Lanza: «Membri del Comitato Liberazione Nazionale Veneto», spiega uno dei vertici, la «pasionaria» veronese Badii. In aula sono intervenuti per leggere una sorta di documento di indipendenza. Tre pagine (con richiamo alla Carta dei Diritti dell’uomo e a una serie di leggi storiche) e una conclusione lapidaria: «Eccepiamo la competenza giurisdizionale del tribunale di Brescia e rivendichiamo il totale difetto di giurisdizione dello stato italiano per materia e per territorio». Si proclamano «soggetti in autodeterminazione per il processo di decolonizzazione del popolo veneto». Ancora: «Non siamo secessionisti, quella nel nostro statuto è una dichiarazione di belligeranza etica e sociale, mica armata. La Serenissima deve tornare una nazione storica d’Europa».E «siamo pronti a lottare in forma pacifica e democratica. Anche in dibattimento», rincara la dose Salvatore «Doddore» Meloni, indipendentista sardo (con il suo interprete): «Ho firmato il Patto dell’Alleanza, di mutuo aiuto politico. Trasformarlo in qualcosa di sovversivo è abnorme». Tutto rinviato: il gup Alessandra Sabatucci deciderà il 3 marzo. Le bandiere sventolano. Come i cartelli: «Life-Liberi imprenditori federalisti europei Veneto-Treviso», «Una giustizia debole con i forti e forte con i deboli». Ormai è ora di pranzo.