Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Viaggio nell’isola dei fantasmi
Una notte a Poveglia, meta dei «ghostbuster» Ombre e rumori sinistri dove in passato si moriva di peste e follia
VENEZIA Sublime. Dovendo definire con una sola parola Poveglia, il suo alone di mistero e il suo bagaglio di leggende, la più adatta sembra proprio questa. Sublime, appunto, nel senso preromantico del termine tanto caro a Edmund Burke: un’emozione legata al terrore e di conseguenza «la più forte che l’animo sia capace di sentire».
Il mito dell’isola dei fantasmi ha attraversato l’oceano e scatenato squadre di «ghostbuster» di mezzo mondo, che su forum e blog organizzano continuamente spedizioni in Laguna a caccia di incontri trascendentali con presenze occulte e spiriti di ogni genere. La stagione migliore per gli acchiappafantasmi, secondo alcuni siti specializzati, è l’autunno: il sole cala prima e le condizioni atmosferiche sono ideali, anche per ottimizzare i riscontri degli strumenti e dei rivelatori di ectoplasmi.
Dopo un’estate trascorsa a cercare di entrare nei tour di appassionati organizzati in Rete, abbiamo trascorso da soli una notte sull’isola degli spettri. Alla ricerca delle suggestioni che, per esempio, a fine luglio hanno terrorizzato cinque ragazzi americani, venuti appositamente a Venezia per una gita nell’isola protagonista di uno speciale di «Ghost adventures», trasmissione popolarissima negli States.
La storia è il primo addendo del mistero di Poveglia. Ex luogo di quarantena ai tempi delle pesti, fossa comune, e nel secolo scorso manicomio mascherato da casa di riposo. Il tramonto demarca il confine tra il noto e l’ignoto. A quest’ora, con la luce soffusa del sole che si accinge a sparire un po’ alla volta alle spalle di Marghera, c’è ancora qualcuno. Un gruppo di ragazzini che pesca sul molo, una famiglia che cena in barca per godersi il tepore di un’estate d’ottobre. Con il buio, però, se ne vanno tutti. È un buio particolare, quello di Poveglia. Qui l’oscurità non cala mai completamente. A mezzanotte le luci di Porto Marghera a nord, il Canale dei Petroli a nord ovest, i lampioni di Malamocco a sud, si riflettono sull’isola che vive un effetto alba perpetua. La conseguenza è un gioco di ombre spettrale, che rende l’ex manicomio ancor più sinistro di quanto non lo sia già di per sé.
Entriamo. A ogni passo uno scricchiolio diverso, un sibilo. I letti, le brandine, sono ancora cinti da catene arrugginite. L’edera rampicante delle piante avvolge colonne e muri e raggiunge il tetto sfondato. C’è la cappella, la sala caldaie, la hall. Le sedie impagliate, gli scaffali, le cataste di legna, fanno pensare a un legame mai veramente spezzato con il passato. Poi c’è l’area del parco. Sono le due di notte. Sotto i rovi, sotto la fitta vegetazione da foresta pluviale, le tracce di un sentiero. E qui sì, che il buio è davvero tale. In mezzo a quelle mura di verde il bagliore non filtra, e la differenza è abissale. Quando non si riesce a vedere si dice che gli altri sensi si acuiscono. E allora i suoni sembrano più pieni. Onde sonore rotonde, indefinite, che attraversano i rovi. Potrebbero essere le navi, potrebbe essere il rombo di un aereo, potrebbe essere l’acqua che si infrange sul cemento del molo. Un tutt’uno sonoro e ovattato e indefinito. Una monotonia rotta solo dal campanile di Malamocco: i tocchi, sì, si distinguono chiaramente. Ma inseriti in questo contesto non sono granchè rassicuranti.
Più avanziamo, più i cespugli si agitano. Figure scure attraversano il sentiero da parte a parte. Rapide, veloci, sembrano quadrupedi. Conigli, forse, perché effettivamente sono troppo grandi e troppo veloci per essere topi. Non tira un soffio di vento ma le foglie si agitano comunque. Tre passi, e due uccelli si alzano in volo passando radenti alle nostre teste. A proposito di sensi, anche gli odori sono diversi. Non sembra di essere a Venezia, si sente la terra, si sente il muschio. Si sente anche qualcosa di decisamente meno romantico, probabilmente una carcassa di qualche animale morto nelle vicinanze. Di sicuro non troppo distante, a giudicare dall’intensità.
Un bagliore riesce a intrufolarsi tra i cespugli. Una barca? Impossibile, troppo silenzio. Quando si apre un varco nel verde si intravede un ponte in legno. Da quella parte, sembra tutta un’altra isola. È quella curata dall’associazione «Tutti per Poveglia»: alberi da frutta, orti, sentieri puliti e ben indicati. Su questo lato l’isola è uno spettacolo, un posto in prima fila sulla Laguna. Qui il silenzio non è sinistro, è pace, ispira quiete e serenità.
Giusto il tempo di godersi quella stellata che sovrasta qualunque altra fonte luminosa, ed è tempo di ripartire. Quando arriva la barca, ci rilassiamo. Da lì, le impalcature che avvolgono come un esoscheletro l’ex casa di riposo, scatenano l’ultimo gioco di ombre: un manto oscuro ricopre la struttura e si dirama alla riva e al giardino in un immenso, tetro, abbraccio.