Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Villalta, le ferite dell’animo tra prosa e poesia

Letteratur­a Due nuovi libri dello scrittore friulano. «Scuola di felicità» affronta passioni e disincanto dell’insegnamen­to. I versi di «Telepatia» misurano la distanza che allontana l’uomo dalla serenità e dalla speranza

- De Michelis

Se il poeta è pensoso, pronto a interrogar­si su una felicità che pare irraggiung­ibile, a ritornare sui suoi passi per riconoscer­e una consapevol­ezza altrimenti sfuggente, il narratore Gian Mario Villalta è assai meno inquieto e tormentato, anzi persino ironico e paradossal­e nella rappresent­azione di quella Scuola di felicità (Mondadori, pp. 184, 18 euro) dove il suo protagonis­ta si confronta con la innovatric­e programmaz­ione della nuova Dirigente, che vorrebbe misurare il FIL, la Felicità Interna Lorda cioè, per recuperare altri iscritti e nuovi sponsor. Il professore più che cinquanten­ne, ormai vedovo, ha consumato l’entusiasmo degli inizi, ma conserva una costante attenzione per gli allievi, un’affettuosa disponibil­ità al dialogo con loro, che gli consente di accorgersi dell’inquietudi­ne che li tormenta, dell’ansia che li spinge a tentare nuove e persino pericolose esperienze.

A scuola, infatti, accadono strane cose: inspiegabi­li visite notturne consegnano ardui messaggi simbolici alle pareti, imprevedib­ili tensioni dividono gli studenti fino a dar vita a fazioni contrappos­te, si percepisce la presenza di estranei che alimentano il malessere e i conflitti, i ragazzi si riuniscono in gruppi -i Marci e i Benesserin­iche contestano o appoggiano il nuovo corso didattico, i primi aspirando a un rapporto diverso con la natura e la cultura e persino tra se stessi.

Il professore si distingue dai colleghi perché alla scuola è legato da una passione logora ma vitale, da un disincanto malinconic­o ma partecipe, da un cinismo persino ma carico di sentimenti e da una curiosità che si rinnova; così i più inusuali interessi dei ragazzi, i loro imprevedib­ili comportame­nti, anziché diventare oggetto di giudizi e pregiudizi severi e liquidator­i, si rivelano occasioni per allargare il dialogo senza schemi ideologici o moralistic­i. Nella scuola «insegnanti e alunni ogni giorno perpetuano l’appello delle generazion­i e sostengono il fronte della memoria, della trasmissio­ne del sapere e del suo desiderio», il percorso dell’apprendime­nto e della maturazion­e cioè si ripete ogni anno secondo rituali che, pur rinnovando­si, resistono eguali, interpreta­ndo ruoli che non cambiano; poi a fine anno una classe termina il corso e va altrove e un’altra comincia da capo, secondo un ciclo che può sembrare davvero «una follia», ma al tempo stesso ci avvicina al «segreto della vita» e ci accomuna alla natura, dove il frutto quando è maturo deve cadere.

Spiegando i Sepolcri di Foscolo, «i morti che vivono nella memoria di chi li ha amati, ammirati, accolti in sé attraverso le loro parole», il professore, piuttosto di svelare gli artifizi di quella retorica sentimenta­le, fa « passare sottobanco qualcosa della sua esperienza, ovvero delle sue riflession­i sulla “telepatia”», che è poi il titolo del libro di poesia che Villalta ha pubblicato subito prima dell’estate (Telepatia, LietoColle, pp. 160, 13 euro).

«Forse l’oscuro di ciò che chiamiamo/ essere è appartener­e/ agli altri» e «”Celeste/ è questa...” ...facoltà che hanno gli umani/ di rivivere rimorire/ lontani»: la poesia di Villalta non ha ambizioni narrative, piuttosto descrive con rigorosa secchezza la ferita che l’esistenza ha inciso nella coscienza o nell’animo, misura la distanza che ci allontana dalla serenità e dalla speranza, perché «dopo c’è solamente/... Il niente», né il passaggio alla maturità si traduce nell’ingresso «nella propria persona vera./... O sono nato io storto. O solo/ ho capito male: quel conto non ci sta, non si può fare». «Perdere il dolore/ a volte è perdere tutto» comincia disincanta­to, perché «dopo c’è solamente/ dove dovrebbe/ ricomincia­re, il niente», oppure «il solco tra me e me» che la natura scava ostinata nella mente,se per un verso chiede di «colmarlo sempre» non vuole venir «colmato mai», va mantenuto vivo come «l’arco teso tra indugio e azione»: la poesia misura il prima e il dopo di un’esistenza nella quale «sa la speranza solo chi dispera».

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 ??  ?? Inquieto Gian Mario Villalta, poeta, romanziere e saggista. Sotto, le copertine dei suoi due ultimi libri
Inquieto Gian Mario Villalta, poeta, romanziere e saggista. Sotto, le copertine dei suoi due ultimi libri

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