Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
«Maschio Gaspardo, risanamento in anticipo Debiti ridotti di 55 milioni»
Bordi: in utile nel 2017. Dalla vendita di Aquileia 10 milioni
CAMPODARSEGO (PADOVA) «Se il presidente avesse avuto pazienza... Sarebbe qui a godere con noi dei primi risultati». A Massimo Bordi, 68 anni, amministratore delegato di Maschio Gaspardo, il lato umano della vicenda esce all’improvviso, tra i numeri e i grafici del piano industriale. Il manager di Ducati, Mv Agusta e Same, chiamato a raddrizzare le sorti del gruppo padovano delle attrezzature agricole finito nel gorgo dei debiti, parla negli uffici di Campodarsego, dove foto e ritratti di Egidio Maschio sono ovunque. La tragica fine, a giugno 2015, del creatore di una multinazionale tascabile da 300 milioni di ricavi e duemila dipendenti, che Bordi chiama con affetto «il presidente», aveva segnato anche la difficoltà della ristrutturazione dettata in accordo con le banche, in un piano di tre anni e mezzo.
Ma già solo 15 mesi dopo i risultati si consolidano. E pur con un 2015 in perdita per 9 milioni e un utile che si rivedrà solo nel 2017, Maschio Gaspardo si candida già a ristrutturazione di successo. «Sì, siamo in vantaggio su quanto stabilito - dice Bordi -. In 15 mesi abbiamo tagliato il debito di 55 milioni sui 110 da toccare in 3 anni e mezzo».
Bordi, ricapitoliamo da dove siamo partiti.
«Da una crisi indotta da una crescita troppo forte e da investimenti troppo alti, soprattutto in acquisizioni. E da debolezze organizzative. Ma c’erano anche punti di forza».
Quali?
«Il modo con cui Egidio Maschio aveva attraversato la crisi del 2009, crescendo mentre altri perdevano il 50% di ricavi, è un esempio di coraggio».
E come si arriva alla crisi?
«La fase seguente è stata troppo corta per riassorbire gli effetti finanziari. In 3 anni, tra 2012 e 2014, s’investono 150 milioni tra acquisizioni e iniziative in Cina e India, a cui se ne aggiungono 80 in più di circolante per tener dietro all’aumento dei ricavi. L’euforia del 2012 da record ha nascosto il debito che esplodeva. Fino a 239 milioni su 324 di ricavi».
Da lì il piano 2016-’18 approvato dalle banche a giugno. Quali i passi stabiliti? E 15 mesi dopo dove siete?
«Abbiamo definito la prima linea manageriale, che non c’era: 4 manager esterni affiancati da Mirco e Andrea Maschio (figli di Egidio: il primo presidente, il secondo consigliere d’amministrazione del gruppo, ndr), come direttori commerciale e tecnico. Le loro conoscenze di mercati e prodotti sono state fondamentali per riprendere le redini con manager privi di esperienze specifiche del settore».
Poi avete semplificato.
«Avere 17 controllate e 6 partecipate è esagerato per un gruppo da 300 milioni. Genera complessità e costi. Abbiamo chiuso la Finotto, l’Iran e una delle due società in Cina, venduto l’elicottero».
E la tenuta agricola.
«Aquileia (ceduta alla famiglia Calligaris, ndr) ci ha portato 10 milioni. Dalle dismissioni dovevano venirne 20 in tre anni. Siamo in anticipo: 12 ci sono già. Abbiamo già ceduto 4 delle 5 quote di minoranza in aziende di componentistica: la quinta a breve. Terremo solo il 40% nella Moro: negli aratri si può crescere rapidamente da 4 a 15 milioni di ricavi. Dalla vendita dello stabilimento di Portogruaro attendiamo 6 milioni».
Cosa chiudete in Italia?
«Avevamo 7 siti, ne restano 4. Reggio Emilia chiude entro dicembre, Portogruaro a metà 2017: i 150 addetti andranno a Morsano. L’intesa coi sindacati c’è già e non licenziamo nessuno. Poi abbiamo chiuso 4 magazzini ricambi, 3 in Italia e quello in Francia, centralizzando a Campodarsego. Fondamentale per tagliare il circolante, che pesava per 132 milioni due anni fa, riducendo il magazzino: immobilizzava 124 milioni di euro nel 2014, scesi a 93 nel 2015 e sotto i 90 quest’anno. È un taglio del 30%».
E come avete fatto?
«Prima il commerciale passava gli ordini in produzione. Ora in mezzo c’è un responsabile vendite. Verifica se, prima di andare in produzione, ci sono in magazzino prodotti simili che rispondono alla richiesta con modifiche o magari un’offerta commerciale. Abbiamo creato una produzione più legata al mercato, che riduce le scorte di magazzino».
E gli effetti sul circolante?
«Dai 77 milioni del 2012 era salito ai 132 del 2014. Nel 2015 siamo scesi a 111. Quest’anno l’obiettivo era 101: siamo a 91».
Che risultati vi attendete quest’anno?
«Un fatturato più basso del previsto, sui 280 milioni invece di 298. Ma centriamo l’obiettivo dei 30 milioni di margine operativo lordo».
In bilancio riferite di un’ispezione della Finanza.
«Un controllo su transfer pricing e tasse delle consociate. Ci devono presentare a giorni il verbale. Ci sentiamo abbastanza a posto, non ci attendiamo esiti particolari».
Verrebbe da dire che alla fine bastava un profondo lavoro di riordino.
«Il presidente ha lasciato un’eredità forte su prodotto, fabbriche e strutture commerciali. Serviva una fase di riordino e consolidamento. Questa ristrutturazione non è ardua: ho trovato situazioni ben peggiori. Magari migliori finanziariamente, ma non sui tre punti fondamentali. Qui gli asset veri c’erano tutti. Era scappata la gestione finanziaria».
(2 - continua)
Il punto Ristrutturazione non ardua: qui gli asset ci sono tutti, era scappata la gestione finanziaria