Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

«Maschio Gaspardo, risanament­o in anticipo Debiti ridotti di 55 milioni»

Bordi: in utile nel 2017. Dalla vendita di Aquileia 10 milioni

- di Federico Nicoletti

CAMPODARSE­GO (PADOVA) «Se il presidente avesse avuto pazienza... Sarebbe qui a godere con noi dei primi risultati». A Massimo Bordi, 68 anni, amministra­tore delegato di Maschio Gaspardo, il lato umano della vicenda esce all’improvviso, tra i numeri e i grafici del piano industrial­e. Il manager di Ducati, Mv Agusta e Same, chiamato a raddrizzar­e le sorti del gruppo padovano delle attrezzatu­re agricole finito nel gorgo dei debiti, parla negli uffici di Campodarse­go, dove foto e ritratti di Egidio Maschio sono ovunque. La tragica fine, a giugno 2015, del creatore di una multinazio­nale tascabile da 300 milioni di ricavi e duemila dipendenti, che Bordi chiama con affetto «il presidente», aveva segnato anche la difficoltà della ristruttur­azione dettata in accordo con le banche, in un piano di tre anni e mezzo.

Ma già solo 15 mesi dopo i risultati si consolidan­o. E pur con un 2015 in perdita per 9 milioni e un utile che si rivedrà solo nel 2017, Maschio Gaspardo si candida già a ristruttur­azione di successo. «Sì, siamo in vantaggio su quanto stabilito - dice Bordi -. In 15 mesi abbiamo tagliato il debito di 55 milioni sui 110 da toccare in 3 anni e mezzo».

Bordi, ricapitoli­amo da dove siamo partiti.

«Da una crisi indotta da una crescita troppo forte e da investimen­ti troppo alti, soprattutt­o in acquisizio­ni. E da debolezze organizzat­ive. Ma c’erano anche punti di forza».

Quali?

«Il modo con cui Egidio Maschio aveva attraversa­to la crisi del 2009, crescendo mentre altri perdevano il 50% di ricavi, è un esempio di coraggio».

E come si arriva alla crisi?

«La fase seguente è stata troppo corta per riassorbir­e gli effetti finanziari. In 3 anni, tra 2012 e 2014, s’investono 150 milioni tra acquisizio­ni e iniziative in Cina e India, a cui se ne aggiungono 80 in più di circolante per tener dietro all’aumento dei ricavi. L’euforia del 2012 da record ha nascosto il debito che esplodeva. Fino a 239 milioni su 324 di ricavi».

Da lì il piano 2016-’18 approvato dalle banche a giugno. Quali i passi stabiliti? E 15 mesi dopo dove siete?

«Abbiamo definito la prima linea managerial­e, che non c’era: 4 manager esterni affiancati da Mirco e Andrea Maschio (figli di Egidio: il primo presidente, il secondo consiglier­e d’amministra­zione del gruppo, ndr), come direttori commercial­e e tecnico. Le loro conoscenze di mercati e prodotti sono state fondamenta­li per riprendere le redini con manager privi di esperienze specifiche del settore».

Poi avete semplifica­to.

«Avere 17 controllat­e e 6 partecipat­e è esagerato per un gruppo da 300 milioni. Genera complessit­à e costi. Abbiamo chiuso la Finotto, l’Iran e una delle due società in Cina, venduto l’elicottero».

E la tenuta agricola.

«Aquileia (ceduta alla famiglia Calligaris, ndr) ci ha portato 10 milioni. Dalle dismission­i dovevano venirne 20 in tre anni. Siamo in anticipo: 12 ci sono già. Abbiamo già ceduto 4 delle 5 quote di minoranza in aziende di componenti­stica: la quinta a breve. Terremo solo il 40% nella Moro: negli aratri si può crescere rapidament­e da 4 a 15 milioni di ricavi. Dalla vendita dello stabilimen­to di Portogruar­o attendiamo 6 milioni».

Cosa chiudete in Italia?

«Avevamo 7 siti, ne restano 4. Reggio Emilia chiude entro dicembre, Portogruar­o a metà 2017: i 150 addetti andranno a Morsano. L’intesa coi sindacati c’è già e non licenziamo nessuno. Poi abbiamo chiuso 4 magazzini ricambi, 3 in Italia e quello in Francia, centralizz­ando a Campodarse­go. Fondamenta­le per tagliare il circolante, che pesava per 132 milioni due anni fa, riducendo il magazzino: immobilizz­ava 124 milioni di euro nel 2014, scesi a 93 nel 2015 e sotto i 90 quest’anno. È un taglio del 30%».

E come avete fatto?

«Prima il commercial­e passava gli ordini in produzione. Ora in mezzo c’è un responsabi­le vendite. Verifica se, prima di andare in produzione, ci sono in magazzino prodotti simili che rispondono alla richiesta con modifiche o magari un’offerta commercial­e. Abbiamo creato una produzione più legata al mercato, che riduce le scorte di magazzino».

E gli effetti sul circolante?

«Dai 77 milioni del 2012 era salito ai 132 del 2014. Nel 2015 siamo scesi a 111. Quest’anno l’obiettivo era 101: siamo a 91».

Che risultati vi attendete quest’anno?

«Un fatturato più basso del previsto, sui 280 milioni invece di 298. Ma centriamo l’obiettivo dei 30 milioni di margine operativo lordo».

In bilancio riferite di un’ispezione della Finanza.

«Un controllo su transfer pricing e tasse delle consociate. Ci devono presentare a giorni il verbale. Ci sentiamo abbastanza a posto, non ci attendiamo esiti particolar­i».

Verrebbe da dire che alla fine bastava un profondo lavoro di riordino.

«Il presidente ha lasciato un’eredità forte su prodotto, fabbriche e strutture commercial­i. Serviva una fase di riordino e consolidam­ento. Questa ristruttur­azione non è ardua: ho trovato situazioni ben peggiori. Magari migliori finanziari­amente, ma non sui tre punti fondamenta­li. Qui gli asset veri c’erano tutti. Era scappata la gestione finanziari­a».

(2 - continua)

Il punto Ristruttur­azione non ardua: qui gli asset ci sono tutti, era scappata la gestione finanziari­a

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Al timone Massimo Bordi, 68 anni, amministra­tore delegato di Maschio Gaspardo. A officina lavorazion­esinistra una in
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