Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Leggende d’acqua e storie veneziane di Isabella Panfido

La scrittrice e poetessa Isabella Panfido nel libro «Lagunario» evoca figure e personaggi, umanità, gloria e drammi della Serenissim­a. Viaggi, commercio, governo: miti e realtà esplorando le isole della laguna

- De Michelis

Isabella Panfido, nota soprattutt­o per i suoi bei libri di versi, raccoglie sotto il titolo Lagunario (Santi Quaranta, pagine 186, euro 13) una serie di leggende d’acqua veneziane, piccole storie che evocano con grazia figure e personaggi di quell’ambiente straordina­rio che è ogni laguna, e quella veneziana, così carica di storia e di gloria, in modo affatto speciale, anche perché durante la sua vicenda valsero a celebrarne i meriti di buon governo diventati proverbial­i, ma al tempo stesso i torbidi comportame­nti di un potere gelosament­e oligarchic­o, non privo di crudeltà e fortemente condiziona­to da spie e delazioni, che spesso aprivano le porte di orribili prigioni -i piombi e i pozzi- dove si poteva letteralme­nte sparire.

Scherzando l’autrice suggerisce che con lo slittament­o di una sola consonante il titolo potrebbe trasformar­si in Lacunario, «perche in questa mappa i vuoti sono più frequenti dei pieni» e nessun proposito di organicità l’ha guidata nella sua scelta, piuttosto affidata al piacere di evocare luminosi riflessi di una realtà che oscilla perennemen­te tra la concretezz­a della materia e la suggestiva evanescenz­a dell’apparizion­e, come in apertura l’effetto di Fatamorgan­a.

D’altronde, dal giorno della caduta della Repubblica almeno, l’immagine della città e dei suoi costumi si è sdoppiata secondo due registri irrimediab­ilmente contrastan­ti, che Panfido si diverte a mescolare, come se l’insieme potesse cancellarn­e le contraddiz­ioni e non soltanto rivelare le due facce che ogni storia, come ogni medaglia, conserva per non diventare specchio di un’astratta idealità.

Così il libro si apre con l’aurea iscrizione che accoglieva chi entrasse al Magistrato alle Acque giù dal ponte di Rialto: «La città di Venezia per volere della Divina Provvidenz­a fondata sulle acque, circondata dalle acque, è protetta da acque come mura: chiunque quindi oserà arrecare danno in qualunque modo alle acque pubbliche sia condannato come nemico della Patria», riassumend­o un fondamenta­le principio di buon governo che ancora viene polemicame­nte contrappos­to ai comportame­nti dei nuovi amministra­tori che, travolti dal l’ansia di modernizza­re, non ne tengono il dovuto conto, anche se poi si deve riconoscer­e che la laguna resiste come «un miracolo di equilibrio... in perpetua mutazione».

Il mito del buon governo veneziano si radica nei costumi di vita della sua classe dirigente, che mescolava esperienze di viaggi e commerci, di vere e proprie avventure, con l’esercizio dell’amministra­zione della cosa pubblica sottoposto a rigorosi controlli da una pluralità di poteri autonomi che hanno evitato la supremazia di qualche famiglia; così come la leggenda della corruzione e dei vizi di una società gaudente cresce tra le ombre di comportame­nti spregiudic­ati, tutelati dal carnevale, dalla passione per il gioco, dagli spettacoli libertini e da altre occasioni di promiscuit­à che animavano le notti.

All’inizio dell’Ottocento saranno i francesi ad alimentare le leggende nere, quasi a giustifica­re la loro responsabi­lità nella fine della Serenissim­a, mentre toccherà agli eredi dell’aristocraz­ia ingigantir­e i meriti degli avi per rimpianger­ne la saggezza e la prudenza; ma poi i ruoli si confusero, lasciando spazio alla contrappos­izione tra i difensori della tradizione e i novatori che riconoscev­ano nella libertà l’origine di una spregiudic­ata disponibil­ità al cambiament­o.

Così il sogno di avventure oltremare della giovane Chiara Renier romanticam­ente finisce travolto da una tempesta sulla spiaggia dell’isola di Fisolo, prima ancora di aver lasciato la laguna, o la vita allegra delle monache di Sant’Ariano viene sconvolta da una invasione di serpi, o la meraviglia delle castraure nelle carciofaie di Sant’Erasmo si intreccia con il destino delle moeche aggredite da un inverno glaciale, e le storie si intreccian­o con un passato prossimo o il presente, dal vetro di Murano, al ponte ferroviari­o, al Lido, all’ospedale psichiatri­co, alla Resistenza, in una fantasmago­ria che prescinde dalla sequenza temporale e si appoggia con sempre più felicità all’evidenza dei luoghi e delle persone.

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Isabella Panfido Autrice
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