Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
LA RIFORMA CHE SERVE ALLE BANCHE
Partendo dallo stato di crisi del Monte dei Paschi di Siena, il Financial Times denuncia i troppi intrecci di interessi tra i consigli di amministrazione delle nostre banche, i governi e le imprese locali. Troppe persone, aggiunge il quotidiano inglese, siedono in diversi consigli di amministrazione bancari. Per di più, alle perdite stellari dei piccoli investitori al dettaglio, tra i quali i pensionati che hanno affidato i loro risparmi di una vita modesta a venditori di banche senza scrupoli, corrispondono compensi e buonuscite altrettanto stellari dei grandi capi degli istituti bancari. Per l’ex amministratore della BPVI si è parlato di cifre notevoli. Ciò a dimostrazione del fatto che Banca e Finanza hanno dato vita a inedite Signorie feudali fondate sulla nobiltà del denaro. I nuovi feudatari non solo hanno esasperato le differenze in ricchezza e reddito, ma hanno anche ridotto l’uguaglianza di opportunità. I rimedi prefigurati per le banche in dissesto potrebbero rivelarsi più dannosi del male. L’imposizione delle perdite in capo agli azionisti e ai creditori («bail-in»), l’intervento della mano pubblica (nazionalizzazione) e il ricorso alle tasche dei contribuenti (nuovi balzelli fiscali) salverebbero la forma, non la sostanza. La vera posta in gioco è la ristrutturazione delle banche irreversibilmente malate che metterebbe a repentaglio le strutture di potere locali, regionali e nazionali.
Ristrutturare vorrebbe dire far fuori il mercato delle patacche e quindi giudicare le imprese bancarie per quello che fanno e non per quel che dichiarano essere il loro valore.
L’opera di rinnovamento è, però, ardua quando i rapporti tra i decisori politici e le banche sono molto stretti. I reciproci legami possono anche tradursi in decisioni giuste, ma per ragioni sbagliate. E la situazione si aggrava se gli alti dirigenti bancari assurgono al ruolo di decisori politici, e viceversa.
La porta girevole dà accesso al mondo della finanza che i politici lobbisti di professione occupano estendendone l’influenza al mondo dell’impresa che finisce con l’essere subordinato al primo.
La lezione che non abbiamo ancora assimilato dal crollo finanziario del 2008 è che ci vogliono giudici indipendenti per valutare gli errori del passato, piuttosto che politici e burocrati il cui scopo è dettare e promuovere nuovi regolamenti, in aggiunta ai precedenti, che sono spesso all’origine della speculazione e della corruzione.
E il sistema giudiziario ha bisogno di riforme in modo che possa gestire i fallimenti in modo più efficiente ed efficace.