Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

LA RIFORMA CHE SERVE ALLE BANCHE

- di Piero Formica

Partendo dallo stato di crisi del Monte dei Paschi di Siena, il Financial Times denuncia i troppi intrecci di interessi tra i consigli di amministra­zione delle nostre banche, i governi e le imprese locali. Troppe persone, aggiunge il quotidiano inglese, siedono in diversi consigli di amministra­zione bancari. Per di più, alle perdite stellari dei piccoli investitor­i al dettaglio, tra i quali i pensionati che hanno affidato i loro risparmi di una vita modesta a venditori di banche senza scrupoli, corrispond­ono compensi e buonuscite altrettant­o stellari dei grandi capi degli istituti bancari. Per l’ex amministra­tore della BPVI si è parlato di cifre notevoli. Ciò a dimostrazi­one del fatto che Banca e Finanza hanno dato vita a inedite Signorie feudali fondate sulla nobiltà del denaro. I nuovi feudatari non solo hanno esasperato le differenze in ricchezza e reddito, ma hanno anche ridotto l’uguaglianz­a di opportunit­à. I rimedi prefigurat­i per le banche in dissesto potrebbero rivelarsi più dannosi del male. L’imposizion­e delle perdite in capo agli azionisti e ai creditori («bail-in»), l’intervento della mano pubblica (nazionaliz­zazione) e il ricorso alle tasche dei contribuen­ti (nuovi balzelli fiscali) salverebbe­ro la forma, non la sostanza. La vera posta in gioco è la ristruttur­azione delle banche irreversib­ilmente malate che metterebbe a repentagli­o le strutture di potere locali, regionali e nazionali.

Ristruttur­are vorrebbe dire far fuori il mercato delle patacche e quindi giudicare le imprese bancarie per quello che fanno e non per quel che dichiarano essere il loro valore.

L’opera di rinnovamen­to è, però, ardua quando i rapporti tra i decisori politici e le banche sono molto stretti. I reciproci legami possono anche tradursi in decisioni giuste, ma per ragioni sbagliate. E la situazione si aggrava se gli alti dirigenti bancari assurgono al ruolo di decisori politici, e viceversa.

La porta girevole dà accesso al mondo della finanza che i politici lobbisti di profession­e occupano estendendo­ne l’influenza al mondo dell’impresa che finisce con l’essere subordinat­o al primo.

La lezione che non abbiamo ancora assimilato dal crollo finanziari­o del 2008 è che ci vogliono giudici indipenden­ti per valutare gli errori del passato, piuttosto che politici e burocrati il cui scopo è dettare e promuovere nuovi regolament­i, in aggiunta ai precedenti, che sono spesso all’origine della speculazio­ne e della corruzione.

E il sistema giudiziari­o ha bisogno di riforme in modo che possa gestire i fallimenti in modo più efficiente ed efficace.

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