Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Lo scienziato e le terapie personalizzate anti cancro
Lo scienziato «umano»: «Il medico deve dedicare tempo ai malati»
PADOVA Lo scienziato Giuseppe Opocher (in foto), direttore scientifico dello Iov, è una delle ali a cui si affida il Veneto per ritrovare fiducia nel futuro: il suo contributo è la lotta al tumore con armi nuove: terapia molecolare e farmaci immunologici. «Non voglio creare illusioni, ma la ricerca - racconta - sta facendo passi da gigante».
L’obiettivo L’oncologia per il soggetto giusto al momento giusto I progressi Non voglio creare false illusioni, ma la ricerca fa passi da gigante
La ricerca che regala un futuro Il direttore scientifico dello Iov: «Usiamo farmaci intelligenti dosati sulle mutazioni genetiche del cancro Chi si affida alle cure alternative? È fragile, ma per noi è una sconfitta»
Dopo la storia di Michela e dei 10 mesi di ferie ricevuti in dono dai colleghi per assistere la figlia Nicole e la vicenda di Serenella, l’imprenditrice che salva le aziende in crisi, pubblichiamo oggi la terza puntata della rassegna dedicata ai volti veneti capaci di lanciare un messaggio di fiducia per il 2017.
PADOVA È lo scienziato «umano», che vola alto con la ricerca ma senza staccarsi mai dal letto del paziente. Amministra, cerca fondi per curare i suoi malati, lavora per trasformare la teoria in cure salvavita e trova pure il tempo di parlare, spiegare a chi soffre. Giuseppe Opocher è una delle ali a cui si affida il Veneto per ritrovare fiducia nel futuro; il suo contributo è la lotta al tumore con armi nuove: terapia molecolare e farmaci immunologici. Corteggiato ma non rapito dalla politica (nel 2003 si è candidato alle amministrative con la lista civica «Padova per Padova» di Luisa Boldrini e nel 2004 alle Regionali con Massimo Carraro, sempre area centrosinistra), nel 2008 il professor Opocher ha fondato l’Unità per i Tumori ereditari dell’Istituto oncologico veneto (Iov), di cui oggi è il direttore scientifico dopo tre anni di «facente funzione». E proprio dal 2013 l’Irccs (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico) di Padova si è visto incrementare il finanziamento statale per la ricerca corrente, che premia produttività scientifica, sperimentazioni cliniche e qualità assistenziale. Nel 2015 il contributo ha superato di un 20% l’importo 2014.
«Quest’anno abbiamo ricevuto dal ministero della Salute 3.050.000 euro — precisa Opocher — i fondi per gli Ircss hanno subìto un taglio del 6,45%, scendendo dai 155 milioni del 2015 ai 145 del 2016. Per noi la decurtazione è stata minore, ma l’Impact factor (misura il numero medio di citazioni ricevute per articoli pubblicati su riviste scientifiche, ndr) continua a crescere per tutti e anche la competizione. Per citazioni lo Iov è secondo dietro l’Istituto nazionale tumori di Milano e per pubblicazioni scientifiche è 17esimo su 49 Irccs, con 222 lavori. Sono soddisfatto, anche perchè l’oncologia italiana è sesta nel mondo e lo Iov è centesimo per pubblicazioni, prima dell’Istituto europeo di Oncologia di Veronesi (Ieo)».
E in Italia?
«E’ il quarto miglior istituto per la cura del cancro, dopo San Raffaele di Milano, Ieo e Istituto nazionale tumori».
Quali le nuove frontiere?
«Dieci anni fa comparvero i primi farmaci intelligenti, a bersaglio, che entrano in modo specifico nell’ingranaggio del tumore e lo bloccano. Il pioniere è stato il Glivec, che ha cambiato la storia, introducendo il concetto di oncologia personalizzata, cioè per il paziente giusto, al momento giusto e per il tempo giusto».
Da allora si è arrivati alla terapia molecolare?
«Sì. Ogni tumore è diverso se lo si esamina dal punto di vista molecolare e quindi è diversa la sensibilità ai farmaci. Conoscendone le caratteristiche molecolari, si può sviluppare una terapia mirata. A tale scopo il 21 dicembre ho firmato l’accordo con Alleanza contro il cancro (rete tra Ircss con finalità di ricerca, ndr) che fa partire l’analisi molecolare dettagliata in tutta Italia, così da poter somministrare i farmaci a seconda delle mutazioni molecolari. Un progetto finanziato dal ministero con 1,5 miliardi di euro».
Come saranno investiti?
«Nel programma nazionale per la genetica del tumore: stiamo attrezzando una piastra dedicata e lanciando un concorso per cento ricercatori. Allestiremo un laboratorio con attrezzature sofisticate in grado di delineare il profilo del paziente dal punto di vista molecolare. In un futuro molto prossimo potremo scegliere la cura personalizzata per ogni malato».
Oggi come procedete?
«La terapia molecolare si usa per alcune mutazioni genetiche nel tumore al colon, al polmone, alla mammella e nel melanoma. I pazienti sono sottoposti alla valutazione molecolare prima di iniziare la cura, oggi efficace per due-tre mutazioni genetiche. Un domani saranno cento. Ci stiamo attrezzando per arrivare, nel giro di un anno e mezzo, a coprirne il più possibile. Esistono 30/40 farmaci molecolari, che per certi tumori bastano e sono somministrati per via orale. Per altri vanno affiancati alla chemioterapia».
Ma la ricerca va avanti.
«Eh sì, partendo dal presupposto che il tumore diventa farmaco-resistente e inizia a crescere. La parola chiave è biopsia liquida, da eseguire prima delle metastasi, per capire se è possibile valutare il profilo molecolare nel sangue e vedere le variazioni del Dna. La biopsia liquida va fatta sulle cellule tumorali circolanti, la parte più aggressiva del tumore: se le intercetto, individuo quelle che daranno origine a metastasi».
E come le fermate?
«A quel punto sappiamo cosa è cambiato a livello molecolare, quindi si consulta il Database per trovare il farmaco adatto a rimediare a quelle mutazioni. Si tratta di prodotti che bloccano la vascolarizzazione del tumore, impedendogli di svilupparsi. Ad ogni step controlliamo la situazione, così se la terapia non va la cambiamo in tempo reale, abbattendo tempi, sofferenze e costi. Il paziente affronta 9 mesi di trattamento invece di 18».
Il nuovo corso punta anche sui farmaci immunologici.
«Sì, il primo è nato nel 2011. Sono farmaci in grado di far saltare il meccanismo di elusione del sistema immunitario da parte del cancro, che imbroglia le nostre difese, si nasconde o “corrompe” le sentinelle. I farmaci immunologici rendono il tumore di nuovo riconoscibile dal sistema immunitario, che lo combatte. Vanno bene per tutti i tumori, ma bisogna dosarli accuratamente: per esempio nel melanoma si usa la combinazione di più farmaci».
Sono sperimentali?
«No, sono in commercio ma con costi alti: 80mila euro a trattamento. Allo Iov ci sono già pazienti che li assumono, soggetti critici non rispondenti alle terapie tradizionali che ora stanno meglio. Il sistema immunitario si è rimesso in moto».
Quindi non sono prescritti a tutti i malati di cancro?
«No, solo a casi particolari, con malattia molto aggressiva e inclusi nel 20% di soggetti che non rispondono alle altre terapie. Per ora sono stati selezionati pazienti colpiti da melanoma, tumore al polmone e colon-retto. La speranza è di riuscire a individuare con sempre maggiore precisione i malati sui quali avere la certezza che tali farmaci funzionino. Oppure che il loro prezzo scenda e allora se ne possa allargare l’uso anche a casi per i quali non possiamo ancora predire l’esatta risposta. Siamo all’inizio, non voglio creare false speranze».
Ci state investendo?
«Sì, sulla genomica del cancro abbiamo un programma di investimento con i fondi del 5 per mille e poi stiamo sviluppando progetti di ricerca con un team di di immunologi e oncologi molto bravi. Il mio lavoro è sostenere i progetti con finanze limitate e metterli in sinergia stretta con la parte clinica».
Tanti sforzi e poi c’è chi muore perchè non si fida della medicina tradizionale.
«E’ una sconfitta, figlia anche del poco tempo che il medico dedica al paziente. I malati sono fragili e il mondo è pieno di squali che vogliono approfittarne: se cadono nelle cure alternative è perchè trovano in chi le propina apparente comprensione e dialogo. Quando il medico sa ascoltare, i problemi si risolvono e nessuno scappa. Lo so per esperienza».