Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Le imprese e l’aumento di capitale «Possiamo crederci ancora, ma solo se c’è un serio piano industriale»
VENEZIA Gli imprenditori sono disposti a credere nelle ex Popolari, ma sulla base di un serio piano industriale da parte delle due banche. Pier Paolo Baretta, sottosegretario all’Economia nel governo Renzi e in procinto di essere riconfermato nell’esecutivo Gentiloni, ha lanciato un appello agli investitori veneti affinché partecipino insieme al Tesoro alla ricapitalizzazione di Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Ebbene, a sentirli l’impressione è che la fiducia ci sia ancora, ma che richieda un sostegno più forte di un generico richiamo alla territorialità.
Ad interpretare l’umore dei colleghi è Stefano Dolcetta, uomo che di realtà come Bpvi si intende eccome, essendo stato il presidente della transizione dall’èra di Gianni Zonin, con conseguente crollo delle azioni, all’avvento di Gianni Mion, con contestuale ingresso di Atlante. «Chiaro che un concorso delle imprese locali è auspicabile — premette — ma tutto è in funzione del piano industriale e della possibilità di realizzarlo, perché un imprenditore investe i propri capitali se ha un ritorno, mica per fare beneficenza. Ben venga anche l’intervento pubblico, purché però non sia inteso come puro spirito assistenzialista, altrimenti è meglio lasciar perdere. Al contrario lo Stato deve agire come un investitore vero, alla pari di un privato che mette i suoi soldi per vedere la banca andare avanti e dargli degli utili».
Vale a dire quello che pure le piccole aziende sarebbero disponibili a fare, malgrado nella scorsa primavera il mercato non abbia risposto alla chiamata per l’aumento di capitale. «Ma allora le condizioni erano diverse — osserva Agostino Bonomo, leader di Confartigianato Veneto — mentre oggi penso che, di fronte ad un programma credibile, ognuno farà la sua parte, perché se scompaiono gli istituti, spariscono anche i 10 centesimi di valore di ogni azione, ma se rimane un minimo di speranza di lenire la perdita, gli imprenditori non si tirano indietro. Chiaramente però, prima di mettere dei denari nella futura banca unica, l’investitore vorrà valutare molto bene il business plan e i propositi del management, rispetto a cui l’intervento del Tesoro è un’iniezione di fiducia ma non è di per sé sufficiente».
Vanno dunque convinti gli azionisti, soprattutto quelli rimasti maggiormente scottati dal falò dell’ultima ricapitalizzazione. Come il vicentino Lino Diquigiovanni, che con la figlia Barbara ha visto scendere il valore delle proprie azioni da 5,7 milioni a 9 mila euro: «Bisogna vedere cosa mettono nel piatto i manager e la Bce. Con un piano industriale serio si può recuperare il territorio, ma dev’essere qualcosa di forte». O come il trevigiano Bruno Zago, passato da 1,3 milioni a poco più di 2 mila euro: «Non possiamo certo essere soddisfatti di come sono andate le cose in passato, ma si può sempre ricominciare. Occorre però ragionare su progetti concreti, non sulle chiacchiere». Diego Carraro, che dopo aver guidato l’associazione dei grandi soci «Per Veneto Banca» ora osserva la situazione dall’esterno, è lapidario: «Di fronte ad un fondo Atlante azionista al 97,64%,chiunque ci penserebbe mille volte prima di mettere dei soldi».