Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
La procura non crede allo scherzo: «Il ragazzo ha premeditato l’omicidio»
Selvazzano, il figlio resta in carcere: potrebbe uccidere ancora
PADOVA Premeditazione. C’è un’aggravante precisa e pesante a fianco dell’accusa di omicidio volontario che la procura dei Minori contesta al sedicenne di Selvazzano che venerdì 24 marzo ha sparato al padre Enrico Boggian, uccidendolo mentre era in relax sul divano della taverna. Fuori dal gergo del codice penale, può voler dire una cosa sola: per la procura, ma anche per il gip di Venezia che mercoledì l’ha interrogato e tenuto in carcere, l’adolescente non solo voleva uccidere il padre, ma si era anche attrezzato per farlo.
I motivi di un giudizio così severo si trovano verso la chiusura dell’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari Valeria Zancan ha disposto la custodia in una cella del Santa Bona di Treviso «perché potrebbe uccidere ancora». Nel motivare la sua decisione e spiegare perché non crede alla ricostruzione dello scherzo finito in tragedia (la versione data dal sedicenne già dalla notte successiva ai fatti e che non ha mai cambiato), il gip Zancan scrive che la tesi difensiva non ha nessun riscontro perché il giovane arriva e spara al padre dalle spalle, senza che la vittima possa quindi vederlo. Non solo: a colpire è la totale assenza di panico subito dopo il colpo mortale. Il sedicenne infatti non urla, non chiama i soccorsi ma provvede subito ad andare a gettare la carabina (trafugata e armata la mattina, come lui stesso ha ammesso) in una siepe dietro casa e poi facendosi vedere dalla vicina verso le 14,40 di ritorno da un giro in bici. Una concatenazione di comportamenti che per il gip stride con la consapevolezza di aver fatto qualcosa che è sfuggito di mano.
Non ultimo, il sedicenne sapeva armeggiare con il fucile. Ha tirato indietro l’otturatore della carabina e così il proiettile è passato dal caricatore alla canna. «Mi ricordo di aver inserito il caricatore – ha spiegato agli investigatori - La carabina, però, non era armata». Il che significa che senza quel movimento dell’otturatore compiuto dal ragazzo il fucile non si sarebbe trasformato in un’arma mortale. È stato lui durante le due ore di interrogatorio a raccontare di aver preso il fucile dalla stanza del nonno, averlo armato per sparare quando era ancora da solo in casa e poi nascosto nel bagno della taverna ben prima che il padre tornasse da lavoro per pranzo. Tutti particolari che portano l’accusa e il giudice a propendere per un disegno definito già da tempo. E intanto i carabinieri hanno convocato in caserma il nonno del ragazzo: verrà denunciato per omessa custodia dell’arma, come recita l’articolo 20 bis della legge 110 del 1975. Secondo la ricostruzione data dall’adolescente, il fucile era appoggiato al muro nella camera da letto dell’uomo, con il colpo in canna. Se così fosse provato anche dalle indagini, l’anziano rischierebbe un’inchiesta per violazione della legge che impone, a chi ha un’arma, di conservarla in una stanza non accessibile ai minorenni e in un armadio chiuso a chiave L’anziano rischia l’arresto fino ad un anno o l’ammenda fino a 1.032 euro.