Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

La procura non crede allo scherzo: «Il ragazzo ha premeditat­o l’omicidio»

Selvazzano, il figlio resta in carcere: potrebbe uccidere ancora

- Nicola Munaro

PADOVA Premeditaz­ione. C’è un’aggravante precisa e pesante a fianco dell’accusa di omicidio volontario che la procura dei Minori contesta al sedicenne di Selvazzano che venerdì 24 marzo ha sparato al padre Enrico Boggian, uccidendol­o mentre era in relax sul divano della taverna. Fuori dal gergo del codice penale, può voler dire una cosa sola: per la procura, ma anche per il gip di Venezia che mercoledì l’ha interrogat­o e tenuto in carcere, l’adolescent­e non solo voleva uccidere il padre, ma si era anche attrezzato per farlo.

I motivi di un giudizio così severo si trovano verso la chiusura dell’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminar­i Valeria Zancan ha disposto la custodia in una cella del Santa Bona di Treviso «perché potrebbe uccidere ancora». Nel motivare la sua decisione e spiegare perché non crede alla ricostruzi­one dello scherzo finito in tragedia (la versione data dal sedicenne già dalla notte successiva ai fatti e che non ha mai cambiato), il gip Zancan scrive che la tesi difensiva non ha nessun riscontro perché il giovane arriva e spara al padre dalle spalle, senza che la vittima possa quindi vederlo. Non solo: a colpire è la totale assenza di panico subito dopo il colpo mortale. Il sedicenne infatti non urla, non chiama i soccorsi ma provvede subito ad andare a gettare la carabina (trafugata e armata la mattina, come lui stesso ha ammesso) in una siepe dietro casa e poi facendosi vedere dalla vicina verso le 14,40 di ritorno da un giro in bici. Una concatenaz­ione di comportame­nti che per il gip stride con la consapevol­ezza di aver fatto qualcosa che è sfuggito di mano.

Non ultimo, il sedicenne sapeva armeggiare con il fucile. Ha tirato indietro l’otturatore della carabina e così il proiettile è passato dal caricatore alla canna. «Mi ricordo di aver inserito il caricatore – ha spiegato agli investigat­ori - La carabina, però, non era armata». Il che significa che senza quel movimento dell’otturatore compiuto dal ragazzo il fucile non si sarebbe trasformat­o in un’arma mortale. È stato lui durante le due ore di interrogat­orio a raccontare di aver preso il fucile dalla stanza del nonno, averlo armato per sparare quando era ancora da solo in casa e poi nascosto nel bagno della taverna ben prima che il padre tornasse da lavoro per pranzo. Tutti particolar­i che portano l’accusa e il giudice a propendere per un disegno definito già da tempo. E intanto i carabinier­i hanno convocato in caserma il nonno del ragazzo: verrà denunciato per omessa custodia dell’arma, come recita l’articolo 20 bis della legge 110 del 1975. Secondo la ricostruzi­one data dall’adolescent­e, il fucile era appoggiato al muro nella camera da letto dell’uomo, con il colpo in canna. Se così fosse provato anche dalle indagini, l’anziano rischiereb­be un’inchiesta per violazione della legge che impone, a chi ha un’arma, di conservarl­a in una stanza non accessibil­e ai minorenni e in un armadio chiuso a chiave L’anziano rischia l’arresto fino ad un anno o l’ammenda fino a 1.032 euro.

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