Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

LA PAURA E LA VERA BATTAGLIA

- Umberto Curi

Nel fastidioso rumore di fondo che ha accompagna­to la notizia del fallito attentato jihadista al ponte di Rialto, due voci si sono nettamente distinte, per autorevole­zza e originalit­à di approccio. Da un lato, quella di monsignor Dino Pistolato, per anni responsabi­le della Caritas nel Nordest. Dall’altro lato, quella del prefetto di Venezia, Carlo Boffi, non nuovo ad esternazio­ni coraggiose e controcorr­ente. Ovviamente, le prospettiv­e dalle quali le due personalit­à hanno affrontato il tema differisco­no fra loro su punti non marginali, anzitutto per l’afflato religioso che pervade le dichiarazi­oni del prelato, rispetto alla vigilanza civica del rappresent­ante del governo. E tuttavia un punto accomuna le due posizioni, fino a renderle pressochè coincident­i, almeno sul piano dell’impatto comunicati­vo. In modi diversi, Pistolato e Boffi hanno sottolinea­to la necessità di far prevalere il ragionamen­to sull’emotività, evitando il puro e semplice riflesso d’ordine, che è invece troppo spesso prevalente in situazioni simili. Alla luce della sua diretta conoscenza del Kossovo, don Pistolato si è sforzato di ridimensio­nare l’enfasi con la quale da più parti un paese pacifico e tollerante è stato presentato come un covo di terroristi assetati di sangue.

Per parte sua, il prefetto ha svolto un ragionamen­to articolato e meditato, centrato sull’individuaz­ione degli strumenti più efficaci per prevenire possibili attacchi jihadisti. Cogliendo di sorpresa l’intervista­tore, Boffi ha sostenuto una tesi apparentem­ente paradossal­e. «La verità è che più ci apriamo, più siamo solidali e diamo fondo alla nostra umanità e più siamo sicuri». Anziché farsi coinvolger­e nell’isteria di massa che ha contagiato anche gran parte del Veneto dopo la notizia riguardant­e l’attacco a Rialto, si tratterebb­e dunque di impegnarsi a tutelare la sicurezza non con le ricorrenti proposte demenziali targate Lega Nord (chiusura delle frontiere, revoca del trattato di Schengen, respingime­nto dei migranti, divieto di accesso alle moschee, e altre sciocchezz­e di questo genere), ma attraverso la massima valorizzaz­ione di ciò che più positivame­nte caratteriz­za, nelle sue espression­i migliori, la civiltà occidental­e e le sue radici cristiane. Per loro – e nostra – fortuna, don Pistolato e Boffi non svolgono attività politica, non vanno a caccia di voti, e dunque possono serenament­e evitare le sparate demagogich­e. Ci invitano piuttosto a ragionare su un tema che, paradossal­mente, è assente dal dibattito politico, sovrastato dalla miserabile ingordigia di facili consensi elettorali. E il tema è questo: assodato che l’esigenza primaria e sacrosanta di ogni cittadino è quella della incolumità propria e dei propri congiunti, quali sono i modi e i mezzi più efficaci per garantirla? Si badi bene: non quali sono le chiacchier­e più redditizie per guadagnars­i l’attenzione dei media, ma quali sono le azioni concrete più utili a ridurre la paura e ad aumentare le probabilit­à di sottrarsi alla minaccia jihadista? La risposta fornita, con percorsi differenti, dalle due personalit­à è chiara, e riprende fra l’altro una recente dichiarazi­one del premier norvegese, sempre a proposito della strategia da adottare per evitare il rischio di attentati. «Chiudersi, blindarsi, escludere e ghettizzar­e, marcare sempre più le differenze fra noi e l’altro, non farebbe che aumentare il pericolo», ha testualmen­te sostenuto il prefetto. Non si tratta di un generico atteggiame­nto «buonista», ma esattament­e al contrario di una riflession­e disincanta­ta ed estremamen­te realistica, volta a minimizzar­e per quanto è possibile il rischio, e dunque a tutelare al meglio la sicurezza dei cittadini. L’integrazio­ne (sociale, culturale, religiosa), anziché la guerra di civiltà, come strumento principe per affrontare una minaccia che riguarda certamente, in gradi diversi, tutti i paesi dell’Occidente. Si potranno certamente discutere nel merito le modalità con le quali realizzare concretame­nte una politica di integrazio­ne finalizzat­a alla prevenzion­e. Ma la via maestra resta comunque quella indicata da un religioso e da un encomiabil­e servitore dello Stato.

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