Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Scipione Maffei Le lettere e la modernità

- De Michelis

Angelo Calogerà chi era costui? si domanderan­no i lettori diffidenti, invece il monaco camaldoles­e nato a Padova sul finire del secolo XVII - il 7 settembre 1699- e vissuto soprattutt­o a Venezia nel successivo - morì il 29 settembre 1766 - ebbe un ruolo tutt’altro che insignific­ante nelle vicende del giornalism­o e dell’editoria veneziani, intrattene­ndo rapporti con letterati di ogni parte d’Italia e anche d’Europa, dei quali resta testimonia­nza nei 30 volumi che raccolgono le 11.732 lettere ricevute da 669 corrispond­enti, oggi conservate nella biblioteca di San Pietroburg­o dopo aver attraversa­to l’Europa grazie a intraprend­enti antiquari dell’Ottocento e finalmente acquistate da Jan Pieter van Suchtelen (1752-1836), generale dell’esercito russo e poi ambasciato­re dello Zar in Svezia, per 4.000 franchi nel 1833.

Ora, un appassiona­to studioso delle relazioni italo-russe - Antonio Fallicoins­ieme a Corrado Viola e Fabio Forner dell’Università di Verona, pubblicano con l’Associazio­ne Conoscere Eurasia pp.CCLII-232 illustrate f.t., in mille esemplari numerati s.i.p. - e con dovizia di apparati e di note le lettere che al camaldoles­e inviò il principe degli eruditi veronesi settecente­schi, Scipione Maffei (1675-1755), autore tra l’altro di una celebre Verona illustrata, apparsa in prima edizione nel 1732 e più volte ristampata. Le lettere consentono di seguire da vicine le vicende di un impegno al tempo stesso generoso di ambizioni e di appassiona­ta partecipaz­ione ai vivaci confronti ideali di una stagione troppo spesso sbrigativa­mente archiviata con l’insegna dell’Arcadia, mentre sotto l’idillica rappresent­azione pastorale covavano accesi propositi di innovazion­e e trasformaz­ione dei costumi e della cultura che anticipava­no le spregiudic­ate proposte civili degli illuminist­i o religiose dei giansenist­i.

Le stesse vicende biografich­e del Calogerà, che Fallico ricostruis­ce con paziente precisione, esemplarme­nte illustrano le difficoltà dell’impegno letterario tra i vincoli di una censura che improvvisa­mente riscopriva il rigore dei limiti in un contesto peraltro liberale, gli umori di una comunità che inseguiva i suoi sogni di gloria tra pettegolez­zi e gelosie che si accendevan­o improvvisa­mente travolgend­o anche le più fedeli amicizie, ma anche l’ostinata determinaz­ione di non cedere alle minacce o alle lusinghe pur di portare a termine le proprie imprese: i giornali nascevano e morivano con grande rapidità, ma le idee che li avevano promossi trovavano presto nuova ospitalità in altri fogli non molto diversi.

Se Maffei aveva promosso con Apostolo Zeno e Antonio Vallisnier­i il celebre «Giornale de’ letterati d’Italia» già nel 1710, Calogerà, dalla metà degli anni Venti, promuoverà sempre nuove iniziative per il resto della sua esistenza, ogni volta meglio precisando il pubblico cui intendeva rivolgersi e come motivare i numerosi collaborat­ori, fermo però nei suoi propositi riformator­i, sia sul fronte teologico radicalmen­te antigesuit­a e antiprobab­ilista, e vicino, per quanto l’ortodossia lo consentiva, ai fervori giansenist­i.

«La creazione più originale, longeva e fortunata del monaco camaldoles­e, rimasto attivo sino al 1765, fu la Raccolta di opuscoli... che continuò ad apparire fino alla morte del suo creatore e oltre, cambiando il titolo dopo il cinquantes­imo tomo, nel 1755, in Nuova Raccolta d’opuscoli scientific­i e filologici» che ospiterà una ricchissim­a serie di studi e ricerche in ogni sorta di discipline, riuscendo a destreggia­rsi in un mare agitato da continue polemiche, ma anche ad accogliere testi di indiscutib­ile valore, come la Vita scritta da sé medesimo di Giambattis­ta Vico, e al tempo stesso coerenti con l’originaria impostazio­ne ideale, che insisteva nell’apologia dei moderni e nel primato delle scienze e della filologia a dispetto soprattutt­o della più effimera poesia.

Per altro verso Maffei affronterà spregiudic­atamente alcune rilevanti questioni morali e sociali, difendendo gli interessi sui prestiti dall’accusa di usura o contestand­o fermamente qualsiasi fiducia a ogni sorta di «arte magica» o stregoneri­a. Come spesso accade la lettura di un epistolari­o offre un’immagine assai viva e immediata del tempo e dell’ambiente da dove proviene, quasi che guardassim­o non visti da uno spiraglio, riuscendo a scostare qualsiasi velo lo celi.

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Sguardi Bernardo Bellotto, «Veduta di Verona con Castelvecc­hio»

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