Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)
Il Veneto e la rete dei jihadisti «Cinquanta sospetti sotto controllo»
D’Ippolito: «Le inchieste non si fermano. L’Islam è pace, alzare muri genera odio»
VENEZIA Le indagini vanno avanti. E non soltanto sul fronte della cellula dell’Isis che operava a Venezia.
A cinque giorni dal blitz che ha portato all’arresto di tre kosovari sospettati di voler compiere un attentato sul ponte di Rialto, il capo dell’Antiterrorismo del Veneto, Adelchi d’Ippolito, avverte: «Il nostro lavoro non è finito».
La lotta al fondamentalismo non si esaurisce con l’operazione congiunta di polizia e carabinieri messa a segno giovedì. Lo ricorda l’attentato di ieri a San Pietroburgo (che però non è ancora stato rivendicato con certezza) e lo confermano le indagini coordinate negli ultimi anni, che hanno portato la procura di Venezia a essere una delle più attive, in Italia, nel contrasto al terrorismo di matrice islamica. Lo dimostrano i numeri. C’è stata l’inchiesta su Ismar Mesinovic e Munifer Karamaleski, partiti dal Bellunese nel dicembre del 2013 alla volta della Siria, e quella sulla studentessa padovana Meriem Rehaily che si riprometteva di «tagliare la testa agli infedeli» e che oggi si troverebbe a nord di Aleppo. In mezzo, diverse espulsioni di imam wahabiti e l’arresto di due presunti reclutatori al servizio dello Stato Islamico.
Partiamo dall’ultima indagine. Ritiene possibile che la cellula individuata a Venezia agisse sulla base di ordini giunti direttamente dallo Stato Islamico?
«Non possiamo escluderlo. Stiamo ricostruendo la rete di relazioni che ruotava intorno agli indagati per capire se agivano in modo autonomo oppure se avessero un filo diretto con qualche esponente dell’Isis. Di certo, i loro profili Facebook e Instagram risultano collegati con quelli di diversi foreign fighters. Nei prossimi giorni, anche dall’analisi dei telefonini e dei computer sequestrati nel corso del blitz, capiremo se sarà possibile aprire nuovi filoni investigativi».
Le frasi intercettate («La miglior bevanda è il sangue dei miscredenti», «Se tutti gli islamici seguissero i precetti, l’Europa sarebbe destinata a scomparire»…) fanno venire i brividi. Nelle abitazioni degli indagati, però, non è stato sequestrato nulla che dimostri l’intenzione di compiere un attentato…
«Riteniamo che le prove raccolte siano solide e sufficienti a reggere un processo. Non dimentichiamo che, per limitare i rischi, chiunque voglia organizzare un attentato rimedia l’esplosivo
soltanto poche ore prima di entrare in azione. Inoltre, i terroristi oggi usano molto spesso armi non convenzionali come automobili, camion, asce, o banali coltelli da cucina. Ciò che conta, per loro, è imparare le tecniche di aggressione, studiare i bersagli: esattamente ciò che facevano i tre kosovari arrestati».
Il prefetto di Venezia dice che alzare muri non garantisce la sicurezza e che il terrorismo si batte con l’accoglienza…
«Ha ragione, ho molto apprezzato le sue parole. Le chiusure creano ghetti e l’emarginazione genera odio e desiderio di rivalsa. La forza della democrazia sta nella capacità di far sentire i propri cittadini accolti e protetti. Per questo dico che non occorrono “leggi speciali”, come non servirono negli anni Settanta, quando lo Stato si trovò a dover contrastare
l’eversione interna. Gli strumenti attuali sono sufficienti a sconfiggere i terroristi, la cosa importante è utilizzarli nel modo giusto».
Le inchieste condotte in questi anni dimostrano che il Veneto è terra di fondamentalisti.
«Dimostrano anche che lo Stato è presente e sa come rispondere con efficacia. Non esistono luoghi a “rischio-zero”, questo è ovvio. Però la nostra intelligence lavora capillarmente sull’intero territorio e ogni persona sospetta viene monitorata, anche per lunghi periodi» Quante «persone sospette» ci sono in Veneto?
«Dipende da molti fattori. Diciamo che in questo momento ci sono circa cinquanta persone che stanno “meritando” le nostre attenzioni». Si tratta di immigrati di origini balcaniche, come gli arrestati della scorsa
settimana?
«Non solo, anche se la pista che conduce ai Balcani è quella che, negli ultimi tempi, sta emergendo in molte inchieste che riguardano i legami tra l’Italia e l’Isis».
Il rischio è che passi il concetto che qualunque islamico sia un potenziale terrorista…
«L’Islam è una religione di pace, il problema è rappresentato da quei pochi che ne professano una visione distorta. Negli ultimi giorni, questa procura ha ricevuto molti attestati di stima per l’operazione che ha portato all’arresto dei tre kosovari, ma la cosa che più mi ha colpito è stato lo striscione affisso a Rialto con su scritto “Venezia non ha paura”. Sono parole di libertà, di democrazia, che dimostrano la totale sconfitta di chi vorrebbe soltanto seminare il terrore».
Stiamo ricostruendo la rete di relazioni degli indagati per capire se avessero contatti diretti con l’Isis Riteniamo che le prove raccolte contro la cellula kosovara siano solide e sufficienti a reggere un processo