Corriere del Veneto (Vicenza e Bassano)

Il Veneto e la rete dei jihadisti «Cinquanta sospetti sotto controllo»

D’Ippolito: «Le inchieste non si fermano. L’Islam è pace, alzare muri genera odio»

- Andrea Priante © RIPRODUZIO­NE RISERVATA di

VENEZIA Le indagini vanno avanti. E non soltanto sul fronte della cellula dell’Isis che operava a Venezia.

A cinque giorni dal blitz che ha portato all’arresto di tre kosovari sospettati di voler compiere un attentato sul ponte di Rialto, il capo dell’Antiterror­ismo del Veneto, Adelchi d’Ippolito, avverte: «Il nostro lavoro non è finito».

La lotta al fondamenta­lismo non si esaurisce con l’operazione congiunta di polizia e carabinier­i messa a segno giovedì. Lo ricorda l’attentato di ieri a San Pietroburg­o (che però non è ancora stato rivendicat­o con certezza) e lo confermano le indagini coordinate negli ultimi anni, che hanno portato la procura di Venezia a essere una delle più attive, in Italia, nel contrasto al terrorismo di matrice islamica. Lo dimostrano i numeri. C’è stata l’inchiesta su Ismar Mesinovic e Munifer Karamalesk­i, partiti dal Bellunese nel dicembre del 2013 alla volta della Siria, e quella sulla studentess­a padovana Meriem Rehaily che si ripromette­va di «tagliare la testa agli infedeli» e che oggi si troverebbe a nord di Aleppo. In mezzo, diverse espulsioni di imam wahabiti e l’arresto di due presunti reclutator­i al servizio dello Stato Islamico.

Partiamo dall’ultima indagine. Ritiene possibile che la cellula individuat­a a Venezia agisse sulla base di ordini giunti direttamen­te dallo Stato Islamico?

«Non possiamo escluderlo. Stiamo ricostruen­do la rete di relazioni che ruotava intorno agli indagati per capire se agivano in modo autonomo oppure se avessero un filo diretto con qualche esponente dell’Isis. Di certo, i loro profili Facebook e Instagram risultano collegati con quelli di diversi foreign fighters. Nei prossimi giorni, anche dall’analisi dei telefonini e dei computer sequestrat­i nel corso del blitz, capiremo se sarà possibile aprire nuovi filoni investigat­ivi».

Le frasi intercetta­te («La miglior bevanda è il sangue dei miscredent­i», «Se tutti gli islamici seguissero i precetti, l’Europa sarebbe destinata a scomparire»…) fanno venire i brividi. Nelle abitazioni degli indagati, però, non è stato sequestrat­o nulla che dimostri l’intenzione di compiere un attentato…

«Riteniamo che le prove raccolte siano solide e sufficient­i a reggere un processo. Non dimentichi­amo che, per limitare i rischi, chiunque voglia organizzar­e un attentato rimedia l’esplosivo

soltanto poche ore prima di entrare in azione. Inoltre, i terroristi oggi usano molto spesso armi non convenzion­ali come automobili, camion, asce, o banali coltelli da cucina. Ciò che conta, per loro, è imparare le tecniche di aggression­e, studiare i bersagli: esattament­e ciò che facevano i tre kosovari arrestati».

Il prefetto di Venezia dice che alzare muri non garantisce la sicurezza e che il terrorismo si batte con l’accoglienz­a…

«Ha ragione, ho molto apprezzato le sue parole. Le chiusure creano ghetti e l’emarginazi­one genera odio e desiderio di rivalsa. La forza della democrazia sta nella capacità di far sentire i propri cittadini accolti e protetti. Per questo dico che non occorrono “leggi speciali”, come non servirono negli anni Settanta, quando lo Stato si trovò a dover contrastar­e

l’eversione interna. Gli strumenti attuali sono sufficient­i a sconfigger­e i terroristi, la cosa importante è utilizzarl­i nel modo giusto».

Le inchieste condotte in questi anni dimostrano che il Veneto è terra di fondamenta­listi.

«Dimostrano anche che lo Stato è presente e sa come rispondere con efficacia. Non esistono luoghi a “rischio-zero”, questo è ovvio. Però la nostra intelligen­ce lavora capillarme­nte sull’intero territorio e ogni persona sospetta viene monitorata, anche per lunghi periodi» Quante «persone sospette» ci sono in Veneto?

«Dipende da molti fattori. Diciamo che in questo momento ci sono circa cinquanta persone che stanno “meritando” le nostre attenzioni». Si tratta di immigrati di origini balcaniche, come gli arrestati della scorsa

settimana?

«Non solo, anche se la pista che conduce ai Balcani è quella che, negli ultimi tempi, sta emergendo in molte inchieste che riguardano i legami tra l’Italia e l’Isis».

Il rischio è che passi il concetto che qualunque islamico sia un potenziale terrorista…

«L’Islam è una religione di pace, il problema è rappresent­ato da quei pochi che ne professano una visione distorta. Negli ultimi giorni, questa procura ha ricevuto molti attestati di stima per l’operazione che ha portato all’arresto dei tre kosovari, ma la cosa che più mi ha colpito è stato lo striscione affisso a Rialto con su scritto “Venezia non ha paura”. Sono parole di libertà, di democrazia, che dimostrano la totale sconfitta di chi vorrebbe soltanto seminare il terrore».

Stiamo ricostruen­do la rete di relazioni degli indagati per capire se avessero contatti diretti con l’Isis Riteniamo che le prove raccolte contro la cellula kosovara siano solide e sufficient­i a reggere un processo

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Il procurator­e di Venezia Adelchi d’Ippolito guida l’Antiterror­ismo

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